Al diavolo i dettagli! Boris Johnson ha formulato una visione coerente per la Brexit, con grande convinzione
Per settimane, o meglio per mesi, noi commentatori politici abbiamo chiesto che qualcuno del governo elaborasse una “visione” per il futuro post-Brexit. Abbiamo ben compreso (o almeno, la maggior parte di noi ha compreso) che i dettagli pratici delle varie proposte non potevano essere diffusi pubblicamente mentre le trattative erano in corso. Volevamo, tuttavia, qualche idea delle basi filosofiche, delle giustificazioni morali e della logica economica su sui si baserà l’intero processo della Brexit. Qual è il significato di tutta questa operazione, visto in una prospettiva storica più ampia?
È esattamente questo che Boris Johnson ci ha offerto, anche se i media gli hanno dato addosso perché non aveva fornito “dettagli concreti”. Io, facendo parte di quei commentatori che avevano insistito per avere una “visione” globale, sono più che disposta ad accettare il suo discorso nei termini in cui è stato elaborato. E lo ho trovato un buon discorso. Johnson mi è sembrato coerente e convinto, oltre che sorretto dall’evidenza storica, la quale, come tutti sanno, è uno dei suoi punti di forza.
In passato, l’establishment inglese ha avuto l’imperdonabile tendenza all’autocompiacimento per aver vinto quello che considerava come l’unico dibattito pubblico sull’argomento: nel primo referendum indetto nel Regno Unito circa la permanenza o meno nel Mercato Comune (1975), la classe dirigente si limitò a decidere che non c’era bisogno di ulteriori approfondimenti o spiegazioni circa la questione europea. Gli euroscettici, sconfitti, vennero così condannati a finire nella spazzatura della storia. Poiché non è mai stato fatto alcun tentativo di riconciliazione, gli sconfitti sono stati da allora relegati a covare un’amarezza sincera. Boris non vuole che la storia si ripeta e che i “Remainer” divengano – non lo ha detto ma lo sappiamo tutti – gli acrimoniosi esclusi del tempo che viviamo.
Così, ha così messo a punto un sostegno alla Brexit di stampo liberale e internazionalista, condito con un’eloquenza davvero convincente. Tutte e tre le obiezioni allarmiste dei Remainer sono state affrontate o, per usare le sue parole, “messe a testa in giù”. Per quanto riguarda i temi della sicurezza e della difesa, ha detto di ritenere inconcepibile la sola idea che il Regno Unito possa voltare le spalle all’impegno di difendere l’Europa continentale, un impegno che risale a tempi molto anteriori a qualunque trattato dell’Unione Europea. Si tratta di una realtà inconfutabile, e sostenere altrimenti, come ha tentato di fare qualche portavoce dell’Unione Europea, non è che una calunnia.
Per quanto riguarda quella che lui ha definito la questione “estetica e culturale”, e cioè che l’uscita dall’Unione Europea possa in qualche modo recidere i nostri legami con il patrimonio comune della civiltà europea, ha sostenuto che si tratta di un’idea assurda e contraddetta dall’evidenza dei fatti. Gli inglesi non sono isolazionisti. Al contrario, come in tutte le nazioni insulari a forte connotazione marittima, tendono a essere uno dei popoli più sparsi ai quattro angoli del globo e con una maggior propensione a visitare altri paesi (se volete vedere da vicino un esempio di provincialismo, andate negli Stati Uniti, dove metà della popolazione non ha neanche il passaporto…).
Sul futuro dell’economia, ha ripetuto i temi ormai familiari circa le opportunità globali e l’impegno in favore del libero commercio. In quest’ambito, ha esposto idee politiche molto precise che desteranno interesse in quella vera fabbrica dei pettegolezzi che è Westminster: non ci può essere alcuna possibilità di una “coerenza permanente” con le leggi e i regolamenti dell’Unione Europea. Continuare a seguire pedissequamente le regole del mercato unico e le norme doganali dell’Unione, senza però partecipare alla loro definizione, equivarrebbe a negare il senso stesso della Brexit. In tal modo, prosegue la battaglia politica di Johnson contro i dirigenti del ministero del Tesoro che hanno “plagiato” il loro capo Philip Hammond (Cancelliere dello Scacchiere, divenuto piuttosto avverso alla Brexit – ndt).
È però significativo come Johnson abbia chiarito che lui ritiene utile conformarsi ai sistemi legali e normativi dell’Unione Europea durante il periodo di transizione. E’ una posizione che lo allontana dai sostenitori duri e puri della Brexit, che hanno giurato di opporsi ad ogni approccio soft. Si potrebbe dunque dire che Johnson si è posto a metà strada, rifiutando sia la posizione dei Remainers presenti all’interno del governo, sia quella dei fautori di una Brexit senza se e senza ma. Personalmente, credo che per lui sia proprio questo il punto centrale: la ricerca di una posizione di compromesso, una via di mezzo compatibile con gli ideali liberali. D’altronde, non è forse questo il significato del suo discorso?
© Telegraph Media Group Limited (2018)
Al diavolo i dettagli! Boris Johnson ha formulato una visione coerente per la Brexit, con grande convinzione
Per settimane, o meglio per mesi, noi commentatori politici abbiamo chiesto che qualcuno del governo elaborasse una “visione” per il futuro post-Brexit. Abbiamo ben compreso (o almeno, la maggior parte di noi ha compreso) che i dettagli pratici delle varie proposte non potevano essere diffusi pubblicamente mentre le trattative erano in corso. Volevamo, tuttavia, qualche idea delle basi filosofiche, delle giustificazioni morali e della logica economica su sui si baserà l’intero processo della Brexit. Qual è il significato di tutta questa operazione, visto in una prospettiva storica più ampia?
È esattamente questo che Boris Johnson ci ha offerto, anche se i media gli hanno dato addosso perché non aveva fornito “dettagli concreti”. Io, facendo parte di quei commentatori che avevano insistito per avere una “visione” globale, sono più che disposta ad accettare il suo discorso nei termini in cui è stato elaborato. E lo ho trovato un buon discorso. Johnson mi è sembrato coerente e convinto, oltre che sorretto dall’evidenza storica, la quale, come tutti sanno, è uno dei suoi punti di forza.
In passato, l’establishment inglese ha avuto l’imperdonabile tendenza all’autocompiacimento per aver vinto quello che considerava come l’unico dibattito pubblico sull’argomento: nel primo referendum indetto nel Regno Unito circa la permanenza o meno nel Mercato Comune (1975), la classe dirigente si limitò a decidere che non c’era bisogno di ulteriori approfondimenti o spiegazioni circa la questione europea. Gli euroscettici, sconfitti, vennero così condannati a finire nella spazzatura della storia. Poiché non è mai stato fatto alcun tentativo di riconciliazione, gli sconfitti sono stati da allora relegati a covare un’amarezza sincera. Boris non vuole che la storia si ripeta e che i “Remainer” divengano – non lo ha detto ma lo sappiamo tutti – gli acrimoniosi esclusi del tempo che viviamo.
Così, ha così messo a punto un sostegno alla Brexit di stampo liberale e internazionalista, condito con un’eloquenza davvero convincente. Tutte e tre le obiezioni allarmiste dei Remainer sono state affrontate o, per usare le sue parole, “messe a testa in giù”. Per quanto riguarda i temi della sicurezza e della difesa, ha detto di ritenere inconcepibile la sola idea che il Regno Unito possa voltare le spalle all’impegno di difendere l’Europa continentale, un impegno che risale a tempi molto anteriori a qualunque trattato dell’Unione Europea. Si tratta di una realtà inconfutabile, e sostenere altrimenti, come ha tentato di fare qualche portavoce dell’Unione Europea, non è che una calunnia.
Per quanto riguarda quella che lui ha definito la questione “estetica e culturale”, e cioè che l’uscita dall’Unione Europea possa in qualche modo recidere i nostri legami con il patrimonio comune della civiltà europea, ha sostenuto che si tratta di un’idea assurda e contraddetta dall’evidenza dei fatti. Gli inglesi non sono isolazionisti. Al contrario, come in tutte le nazioni insulari a forte connotazione marittima, tendono a essere uno dei popoli più sparsi ai quattro angoli del globo e con una maggior propensione a visitare altri paesi (se volete vedere da vicino un esempio di provincialismo, andate negli Stati Uniti, dove metà della popolazione non ha neanche il passaporto…).
Sul futuro dell’economia, ha ripetuto i temi ormai familiari circa le opportunità globali e l’impegno in favore del libero commercio. In quest’ambito, ha esposto idee politiche molto precise che desteranno interesse in quella vera fabbrica dei pettegolezzi che è Westminster: non ci può essere alcuna possibilità di una “coerenza permanente” con le leggi e i regolamenti dell’Unione Europea. Continuare a seguire pedissequamente le regole del mercato unico e le norme doganali dell’Unione, senza però partecipare alla loro definizione, equivarrebbe a negare il senso stesso della Brexit. In tal modo, prosegue la battaglia politica di Johnson contro i dirigenti del ministero del Tesoro che hanno “plagiato” il loro capo Philip Hammond (Cancelliere dello Scacchiere, divenuto piuttosto avverso alla Brexit – ndt).
È però significativo come Johnson abbia chiarito che lui ritiene utile conformarsi ai sistemi legali e normativi dell’Unione Europea durante il periodo di transizione. E’ una posizione che lo allontana dai sostenitori duri e puri della Brexit, che hanno giurato di opporsi ad ogni approccio soft. Si potrebbe dunque dire che Johnson si è posto a metà strada, rifiutando sia la posizione dei Remainers presenti all’interno del governo, sia quella dei fautori di una Brexit senza se e senza ma. Personalmente, credo che per lui sia proprio questo il punto centrale: la ricerca di una posizione di compromesso, una via di mezzo compatibile con gli ideali liberali. D’altronde, non è forse questo il significato del suo discorso?
© Telegraph Media Group Limited (2018)
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