Francesco I di Francia, di Jean Clouet (vista parziale)
Al Louvre si svela un nuovo Rinascimento francese
Le Figaro Eric Biétry-RivierreCultura traduzione: Ombretta Macchi
Francesco I, re di Francia, non amava soltanto l’Italia. Una mostra riscopre gli artisti fiamminghi e olandesi attivi in Francia durante il suo regno.
I castelli della Loira [1] e quello di Fontainebleau [2] hanno sempre eclissato il versante nordico del Rinascimento in Francia. Al Louvre, nella mostra incentrata sul regno di Francesco I, questo aspetto sinora trascurato del Rinascimento francese si rivela, invece, in tutta la sua bellezza, oltre che nella sua vastità. Le sorprese sono molte.
Scopriamo una pleiade di artisti originari delle Fiandre o dei Paesi Bassi, assai meno noti di italiani come il Rosso Fiorentino o il Primaticcio, il cui talento e la cui importanza risultano eclatanti. Si chiamano Wouter Van Campen, Noël Bellemare, Joos van Cleve…. Nella maggior parte dei casi, il loro nome è stato francesizzato, mentre alcuni di loro sono passati alla storia unicamente con il loro soprannome, come nel caso del Maestro di Amiens, di Godefroy il Batavo o del Maestro del Carcere d’Amore. Il percorso arriva quasi a regalarci una monografia per ognuno di loro, specialmente per Grégoire Guérard, cosa che rappresenta una novità assoluta. Di recente, infatti, è stato possibile attribuire a questo Maestro una serie di tavole anonime - ricollegabili alla école bourguignonne – che rappresentano oggi il più importante corpus di dipinti della storia francese del XVI secolo.
Tra questi artisti nordici, il più famoso è senz’altro Jean Clouet. Ebbene sì: le didascalie informative ci ricordano che questa gloria nazionale francese - questo capostipite del ritratto à crayon, grazie al quale ci è possibile conoscere alla perfezione i lineamenti dei membri della famiglia reale e della nobiltà vissuti durante questo periodo rigoglioso – nasce sotto il nome di Janet Clauwet probabilmente a Valenciennes, città che all’epoca apparteneva all’impero degli Asburgo. Anche se è stato possibile riunire la decina di tavole attribuibili alla sua mano, oltre al suo ritratto di Francesco I a cavallo (tempera su pergamena), sono presenti soltanto due dei suoi disegni, densi di vita e di verità psicologica. È stato necessario chiederli in prestito al British Museum, poiché la maggior parte del fondo – così come l’intero lascito del duca di Aumale – non può uscire dal Museo Condé di Chantilly, all’interno del quale è conservato. In compenso, ad uno dei suoi colleghi è stata dedicata un’intera sala. Si tratta di Corneille de Lyon, così chiamato per via della città nella quale questo nativo di La Haye ha svolto la gran parte della sua carriera. Al “pittore del Delfino” [3] dobbiamo la moda dei ritratti di piccolissimo formato e a sfondo uniforme verde o blu che, lontani da formalismi e ambizioni artistiche, eccellono nella ricerca di umiltà e naturalezza.
Tendenza manierista “ipergotica”
Il percorso si apre con una presentazione delle influenze delle scuole di Anversa e di Leyde all’interno degli ambienti sociali legati alla corte reale, ovvero nelle regioni della Touraine e dell’ Île-de-France. L’esposizione si amplia poi velocemente, orientandosi verso alcuni foyer d’arte particolarmente attivi in Piccardia, Champagne e Borgogna. I trittici relativi a queste regioni francesi, così come le pale d’altare scolpite e dorate, appartengono ad una tendenza manierista detta “ipergotica”. È questo il caso di quell’allievo del fiammingo Jean de Beer che si cela sotto il nome di “Maestro di Amiens”. La sua stravagante allegoria in onore della Vergine colpisce non soltanto per il gran numero di personaggi raffigurati, dal papa ai contadini, ma anche per i suoi colori accesi, per gli atteggiamenti affettati dei corpi e per le pieghe complesse degli abiti dai lunghi strascichi.
Non lontano, troviamo esposti alcuni dei disegni che venivano talvolta utilizzati all’interno degli atelier, libri aperti alle pagine contenenti le miniature più sontuose, vetrate concesse in prestito dalle chiese e sculture policrome, a testimoniare quanto profondo fosse questo filone artistico settentrionale. A quel tempo, tutte le arti procedevano parallelamente e la scenografia dell’allestimento ricostruisce questa sincronia in maniera eccellente. L’occhio scorre senza tregua dal minuscolo al monumentale, dal gioiello alla cattedrale.
A poco a poco, le opere d’arte religiose o celebrative si tingono di riferimenti antichi, indice di un ponte con la scuola italiana. Questa mancanza di frontiere coinvolge anche l’Umanesimo. Ci imbattiamo ad esempio – ritratto da Jean Clouet – nel volto grave di Guillaume Budé, bibliotecario del re, nonché promotore dello studio del greco antico (prestito del MoMA di New York). Non sappiamo se un certo Grégoire Guérard, parente di Erasmo, o un tale Bartholomeus Pons abbiano valicato le Alpi. Ad ogni modo, essi ci indicano una possibile sintesi: quella che si affermerà a Fontainebleau. Ai loro lunghi trittici ad ante laterali mobili, spesso dipinti a grisaille [4] appartiene tanto il fascino di Dürer quanto quello di Raffaello.
In questa brillante riabilitazione pilotata da Cécile Scailliérez, capo conservatore presso il dipartimento di pittura del Louvre, manca all’appello solo una evocazione delle trasposizioni su arazzi fiamminghi dei dipinti di Jérôme Bosch. Erano state commissionate da Francesco I, ma buona parte del tesoro dei Valois è scomparso, vittima delle guerre e della rivoluzione francese. Sussiste comunque il cuore delle collezioni dei dipinti del Louvre, e non è poca cosa se si pensa a Leonardo o Andrea del Sarto. E’ presente anche la Monna Lisa delle sculture: La Saliera di Benvenuto Cellini, che dopo il furto del 2006 non esce praticamente mai dal Kunsthistorische Museum di Vienna.
Per concludere, un pezzo di oreficeria quasi altrettanto eccezionale: un libro commissionato dal re per sua nipote Jeanne d’Albret. Esso è collocato, all’interno della sua vetrina blindata, nel cuore della mostra. E la Francia spera di reintegrarlo tra i suoi beni più preziosi.
Note della traduttrice:
[1] Leonardo da Vinci operò alla corte di Francesco I dal 1516 alla morte, risiedendo in uno dei castelli della Loira in qualità di “primo pittore, ingegnere e architetto del Re”.
[2] Quando Filippo I decide di stabilire la propria residenza a Fontainebleau, si circonda di artisti italiani (Scuola di Fontainebleau) che si dedicano ai lavori di decoro del castello.
[3] Il futuro Enrico II di Francia.
[4] Nella pittura del Rinascimento francese: chiaroscuro, procedimento che riproduce mediante vari toni grigi le luci e le ombre, spesso arricchito da tocchi di colore.
Al Louvre si svela un nuovo Rinascimento francese
Francesco I, re di Francia, non amava soltanto l’Italia. Una mostra riscopre gli artisti fiamminghi e olandesi attivi in Francia durante il suo regno.
I castelli della Loira [1] e quello di Fontainebleau [2] hanno sempre eclissato il versante nordico del Rinascimento in Francia. Al Louvre, nella mostra incentrata sul regno di Francesco I, questo aspetto sinora trascurato del Rinascimento francese si rivela, invece, in tutta la sua bellezza, oltre che nella sua vastità. Le sorprese sono molte.
Scopriamo una pleiade di artisti originari delle Fiandre o dei Paesi Bassi, assai meno noti di italiani come il Rosso Fiorentino o il Primaticcio, il cui talento e la cui importanza risultano eclatanti. Si chiamano Wouter Van Campen, Noël Bellemare, Joos van Cleve…. Nella maggior parte dei casi, il loro nome è stato francesizzato, mentre alcuni di loro sono passati alla storia unicamente con il loro soprannome, come nel caso del Maestro di Amiens, di Godefroy il Batavo o del Maestro del Carcere d’Amore. Il percorso arriva quasi a regalarci una monografia per ognuno di loro, specialmente per Grégoire Guérard, cosa che rappresenta una novità assoluta. Di recente, infatti, è stato possibile attribuire a questo Maestro una serie di tavole anonime - ricollegabili alla école bourguignonne – che rappresentano oggi il più importante corpus di dipinti della storia francese del XVI secolo.
Tra questi artisti nordici, il più famoso è senz’altro Jean Clouet. Ebbene sì: le didascalie informative ci ricordano che questa gloria nazionale francese - questo capostipite del ritratto à crayon, grazie al quale ci è possibile conoscere alla perfezione i lineamenti dei membri della famiglia reale e della nobiltà vissuti durante questo periodo rigoglioso – nasce sotto il nome di Janet Clauwet probabilmente a Valenciennes, città che all’epoca apparteneva all’impero degli Asburgo. Anche se è stato possibile riunire la decina di tavole attribuibili alla sua mano, oltre al suo ritratto di Francesco I a cavallo (tempera su pergamena), sono presenti soltanto due dei suoi disegni, densi di vita e di verità psicologica. È stato necessario chiederli in prestito al British Museum, poiché la maggior parte del fondo – così come l’intero lascito del duca di Aumale – non può uscire dal Museo Condé di Chantilly, all’interno del quale è conservato. In compenso, ad uno dei suoi colleghi è stata dedicata un’intera sala. Si tratta di Corneille de Lyon, così chiamato per via della città nella quale questo nativo di La Haye ha svolto la gran parte della sua carriera. Al “pittore del Delfino” [3] dobbiamo la moda dei ritratti di piccolissimo formato e a sfondo uniforme verde o blu che, lontani da formalismi e ambizioni artistiche, eccellono nella ricerca di umiltà e naturalezza.
Tendenza manierista “ipergotica”
Il percorso si apre con una presentazione delle influenze delle scuole di Anversa e di Leyde all’interno degli ambienti sociali legati alla corte reale, ovvero nelle regioni della Touraine e dell’ Île-de-France. L’esposizione si amplia poi velocemente, orientandosi verso alcuni foyer d’arte particolarmente attivi in Piccardia, Champagne e Borgogna. I trittici relativi a queste regioni francesi, così come le pale d’altare scolpite e dorate, appartengono ad una tendenza manierista detta “ipergotica”. È questo il caso di quell’allievo del fiammingo Jean de Beer che si cela sotto il nome di “Maestro di Amiens”. La sua stravagante allegoria in onore della Vergine colpisce non soltanto per il gran numero di personaggi raffigurati, dal papa ai contadini, ma anche per i suoi colori accesi, per gli atteggiamenti affettati dei corpi e per le pieghe complesse degli abiti dai lunghi strascichi.
Non lontano, troviamo esposti alcuni dei disegni che venivano talvolta utilizzati all’interno degli atelier, libri aperti alle pagine contenenti le miniature più sontuose, vetrate concesse in prestito dalle chiese e sculture policrome, a testimoniare quanto profondo fosse questo filone artistico settentrionale. A quel tempo, tutte le arti procedevano parallelamente e la scenografia dell’allestimento ricostruisce questa sincronia in maniera eccellente. L’occhio scorre senza tregua dal minuscolo al monumentale, dal gioiello alla cattedrale.
A poco a poco, le opere d’arte religiose o celebrative si tingono di riferimenti antichi, indice di un ponte con la scuola italiana. Questa mancanza di frontiere coinvolge anche l’Umanesimo. Ci imbattiamo ad esempio – ritratto da Jean Clouet – nel volto grave di Guillaume Budé, bibliotecario del re, nonché promotore dello studio del greco antico (prestito del MoMA di New York). Non sappiamo se un certo Grégoire Guérard, parente di Erasmo, o un tale Bartholomeus Pons abbiano valicato le Alpi. Ad ogni modo, essi ci indicano una possibile sintesi: quella che si affermerà a Fontainebleau. Ai loro lunghi trittici ad ante laterali mobili, spesso dipinti a grisaille [4] appartiene tanto il fascino di Dürer quanto quello di Raffaello.
In questa brillante riabilitazione pilotata da Cécile Scailliérez, capo conservatore presso il dipartimento di pittura del Louvre, manca all’appello solo una evocazione delle trasposizioni su arazzi fiamminghi dei dipinti di Jérôme Bosch. Erano state commissionate da Francesco I, ma buona parte del tesoro dei Valois è scomparso, vittima delle guerre e della rivoluzione francese. Sussiste comunque il cuore delle collezioni dei dipinti del Louvre, e non è poca cosa se si pensa a Leonardo o Andrea del Sarto. E’ presente anche la Monna Lisa delle sculture: La Saliera di Benvenuto Cellini, che dopo il furto del 2006 non esce praticamente mai dal Kunsthistorische Museum di Vienna.
Per concludere, un pezzo di oreficeria quasi altrettanto eccezionale: un libro commissionato dal re per sua nipote Jeanne d’Albret. Esso è collocato, all’interno della sua vetrina blindata, nel cuore della mostra. E la Francia spera di reintegrarlo tra i suoi beni più preziosi.
Note della traduttrice:
[1] Leonardo da Vinci operò alla corte di Francesco I dal 1516 alla morte, risiedendo in uno dei castelli della Loira in qualità di “primo pittore, ingegnere e architetto del Re”.
[2] Quando Filippo I decide di stabilire la propria residenza a Fontainebleau, si circonda di artisti italiani (Scuola di Fontainebleau) che si dedicano ai lavori di decoro del castello.
[3] Il futuro Enrico II di Francia.
[4] Nella pittura del Rinascimento francese: chiaroscuro, procedimento che riproduce mediante vari toni grigi le luci e le ombre, spesso arricchito da tocchi di colore.
© Eric Biétry-Rivierre, 2017, Le Figaro
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