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Cambia il consumo della birra in Europa

Se in Germania e Belgio il consumo della birra ha subito una battuta di arresto, per l’Italia invece è un buon momento, sia per le esportazioni, con un aumento del 7,9% (2017 su anno precedente), che per il mercato interno.

Dal 1° gennaio 2019, in favore della produzione italiana vi sarà anche una pur lievissima riduzione del carico fiscale (da €3,02 a €3,00 per ettolitro). In Italia, la birra è l’unica bevanda su cui gravano le accise, che attualmente incidono per circa il 50% sul costo totale di produzione. Nonostante il nostro mercato resti per ora al decimo posto a livello europeo in termini di quantità prodotta, i birrifici italiani sono in aumento, con un incremento del numero dipendenti pari al 34%.

La Germania, invece, primo produttore europeo con una tradizione millenaria alle spalle, sta faticando a tenere il passo con gli altri mercati. Tra le cause, la legge che impedisce di fumare nei locali pubblici, motivo che spinge molta gente a disertare bar e birrerie. Nel breve arco di tempo tra il 2006 e il 2015, un quarto delle locande bavaresi è stato costretto a chiudere per il calo dei consumi, con ricadute occupazionali, fra cui il licenziamento di 240 dipendenti del birrificio Warsteiner, uno dei più importanti del paese.

Anche il Belgio, 7° produttore europeo, con una forte posizione nel comparto delle birre di pregio a fermentazione naturale, ha registrato la chiusura di molti locali pubblici. Una tendenza che ormai colpisce anche il Regno Unito, dove la vendita delle birre più note è diminuita non solo nei pub ma anche nei supermercati e nei negozi di vendita al dettaglio, a tutto vantaggio dei micro-birrifici artigianali che spesso offrono prodotti di alta qualità, o di nicchia, ad un prezzo premium. Va ricordato che il Regno Unito è il paese europeo con il maggior numero di produttori “standard” (2250, contro i 1400 delle Germania e i 760 dell’Italia) e di micro-birrifici (altri 2600 operatori). Va anche detto che nel Regno Unito e nel nord Europa in genere molte persone si auto-producono la birra in casa, usando appositi kit reperibili in commercio. Bastano un fermentatore (da circa 30 litri), un mestolo lungo, una lattina di estratto di malto, una bustina di lievito secco, zucchero e acqua. Il procedimento è lievemente laborioso, ma è alla portata di chiunque e richiede solo una certa attenzione nello sterilizzare gli strumenti. La fermentazione richiede 7-10 giorni, cui devono seguire tre settimane di riposo della birra a circa 20 gradi costanti. Il risultato finale non ha nulla da invidiare alle birre in comune commercio.

D’altronde, l’incentivo ad autoprodurre e consumare birra con moderazione deriva anche dalle sue proprietà benefiche per l’organismo. La birra riduce il rischio di Parkinson, aumenta i livelli di colesterolo “buono” HDL, migliora i livelli di silicio nelle ossa, apporta vitamina B12, che previene le malattie cardiovascolari, è ricca di antiossidanti. Tuttavia, ci sono anche effetti negativi: poiché apporta acido urico, è dannosa per chi soffre di gotta, contiene nitrosammine, sostanze cancerogene peraltro presenti anche in pesce, carne, salumi e formaggi, irrita la mucosa gastrica (a causa dell’anidride carbonica).

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