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I paesi più innovativi al mondo. L’Italia arranca.

L’agenzia di informazioni finanziarie Bloomberg ha pubblicato, anche quest’anno, il suo Bloomberg Innovation Index, un indicatore dei 60 paesi al mondo che producono maggiore quantità di innovazione. L’Italia si trova al 21° posto, perdendo una posizione rispetto al 2018.

L’indicatore si basa su sette parametri:

  1. incidenza sul PIL della spesa in ricerca e sviluppo (R&D, privata e pubblica)
  2. valore aggiunto manifatturiero
  3. produttività
  4. concentrazione di imprese hi-tech
  5. efficienza del settore terziario
  6. concentrazione di ricercatori a livello PhD
  7. numero di brevetti registrati

Al primo posto della graduatoria mondiale si trova la Corea del Sud, e a seguire, nell’ordine: Germania, Finlandia, Svizzera, Israele, Singapore, Svezia, USA, Giappone, Francia, Danimarca, Austria, Belgio, Irlanda, Olanda, Cina, Norvegia, Regno Unito, Canada, Australia, Italia. Il paese che ha perso più posizioni rispetto al 2018 è la Svezia (-5 posti), mentre quello che ne ha guadagnate di più è Israele (+5), che risulta essere al primo posto mondiale per quanto riguarda l’incidenza della spesa R&D sul PIL.

Sui 7 parametri, quello in cui l’Italia va meglio (o forse meno peggio rispetto agli altri) è quello relativo alla concentrazione di imprese hi-tech, mentre quello che in cui la performance è meno buona è quello sulla concentrazione di ricercatori. D’altronde, l’università italiana ha uno scarsissimo appeal per gli studenti esteri, visto che nessuna università del Belpaese figura tra le prime 100 a livello mondiale.

Dietro l’Italia, ma con uno scarto non lieve, si colloca la Polonia, seguita da Islanda, Nuova Zelanda e Repubblica Ceca. Gli altri paesi vengono dopo.

Gli ultimi cinque posti nella classifica sono occupati da Arabia Saudita, Qatar, Cile, Messico e Vietnam. Nello sguardo d’insieme, si può osservare il caso eclatante della Corea del Sud: un paese che fino a 50 era tra i più poveri del mondo, oggi svetta su tutti. Il boom iniziò negli anni Ottanta, grazie al sistema di stretta collaborazione tra governo e imprese, finalizzato a proteggere e sostenere il più possibile la loro crescita, ricorrendo a finanziamenti agevolati, importazione di tecnologie avanzate, restrizioni alle importazioni “voluttuarie”. Grazie anche alla collaborazione dei sindacati, si ottenne un forte aumento della produttività, da cui discese un forte aumento del Pil procapite. In seguito, il paese si è aperto maggiormente alle altre importazioni, ma non ha mai ceduto nella difesa delle industrie nazionali.

Ci sembra utile osservare che tra i primi venti paesi figurano molte nazioni che sembrano avere come tratto comune l’assenza di spiccati conflitti sociali e la presenza di una diffusa e forte collaborazione tra tutte le parti in causa, vale a dire governo, imprese, sindacati, scuola e università. È questo ciò che maggiormente accomuna Finlandia, Svezia, Danimarca e Norvegia, riuniti attorno alle sponde del mar Baltico, cui vanno aggiunti Germania, Svizzera, Israele e Singapore, assai più distanti. L’Italia, dal canto suo, si configura come l’ultimo fra i paesi più innovativi, al confine con il gruppo di paesi mediani. Può bastare davvero poco per perdere altre posizioni e scivolare in serie B. Speriamo che i governi futuri comprendano che è giunta l’ora di una cura shock per far risalire all’Italia la china del declino economico e demografico. Se ci è riuscita la Corea, partendo da zero, non si vede perché non dovrebbe riuscirci un paese di grandi tradizioni industriali e culturali come l’Italia.

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