Il discorso di Boris Johnson al congresso del partito conservatore
Il 2 ottobre scorso, Boris Johnson, ministro degli esteri britannico, ha tenuto un discorso pubblico che ha riscosso molta eco nel Regno Unito. Johnson, ex sindaco di Londra, è noto per la sua personalità esuberante, le posizioni chiare e forti, l’ambizione politica. È uno strenuo fautore della Brexit e un convinto sostenitore dell’eccezionalismo britannico, cioè l’idea che il Regno Unito abbia tutte le risorse umane, finanziarie e materiali per poter vivere senza problemi al di fuori della Ue. Anche grazie a due speciali caratteristiche, o vantaggi, che rendono assai particolare la posizione del Regno Unito nel contesto mondiale: la lingua inglese, che ormai è l’esperanto degli affari e della ricerca scientifica, e, soprattutto, la posizione di guida all’interno del Commonwealth, l’associazione fra i paesi dell’ex impero britannico (e non solo questi) che riunisce nazioni sparse ai quattro angoli del globo: Canada, Australia, India, Sud Africa e altre 49 nazioni, per un totale di 2,4 miliardi di abitanti. Tutte democrazie che condividono la stessa lingua e valori comuni inerenti i diritti umani, la libertà di pensiero e la libertà di commercio. Per certi versi, un’organizzazione più coesa della Ue, anche se priva di un parlamento comune e di un sistema normativo analogo a quello europeo.
Johnson ha accusato Jeremy Corbyn, leader dei laburisti, e gran parte dei mass media di ingiustificato pessimismo sul futuro del Regno Unito a causa della sua prossima uscita dalla Ue. Ha tratteggiato Corbyn come colui che “attacca costantemente la Nato e vorrebbe smantellare le nostre forze armate”, un esponente “il cui primo istinto, di fronte a qualsiasi crisi internazionale, è di sospendere ogni giudizio fino a quando non riesce a trovare il modo di darne la colpa alla politica estera inglese”. Ha poi sottolineato quanto Corbyn sia “colui la cui risposta ai tragici eventi del Venezuela è stata quella di prendere le difese del regime di Maduro, semplicemente perché si tratta di un regime schierato a sinistra”. D’altronde, ha proseguito, Corbyn “ha espresso ammirazione per il socialismo rivoluzionario in versione Bolivarista. Nel momento in cui il mondo intero dovrebbe coalizzarsi per condannare Maduro, il leader ufficiale dell’Opposizione spalleggia un governo che imprigiona gli oppositori, spara sui dimostranti, minaccia i giornalisti e viola i diritti umani”.
Dato il benservito all’avversario principale, Johnson ha concluso il suo discorso riallacciandosi al tema della Brexit: “Ebbene sì, ci accingiamo a lasciare l’Unione europea, ma – come ha già detto il primo ministro nel suo discorso di Firenze – siamo nelle condizioni di creare una partnership speciale basata sul libero commercio con una Unione europea rinforzata dal dialogo con un forte Regno Unito. Poiché è del tutto assurdo affermare che l’assorbimento dei valori europei, o l’appartenenza alla cultura e alla civiltà europea, sono definiti dall’adesione alle istituzioni comunitarie, è evidente che non siamo e non saremo meno europei di altri. Il Regno Unito continuerà ad essere Europeo sotto il profilo culturale, geografico, storico, spirituale e morale, potete scommetterci!”.
Un ministro conservatore, intervistato dal Telegraph, ha affermato che “è difficile non vedere in questo discorso una candidatura per la leadership del partito…”.
Il primo ministro Theresa May, dal canto suo, non era presente al discorso di Johnson perché impegnata in alcune interviste televisive. Durante una di queste ha detto di non aver alcuna contrarietà alla presenza di voci dissenzienti dentro il suo partito e dentro il governo. Anzi, ha rimarcato di considerare vera leadership quella che sa ascoltare tutte le voci e che evita di farsi circondare da yesmen.
Vedremo nei prossimi mesi se il ruggito di Boris Johnson è solo un grido nel deserto o se il ministro degli esteri conquisterà la maggioranza dei parlamentari conservatori.
© 2017, Thema International
Il discorso di Boris Johnson al congresso del partito conservatore
Il 2 ottobre scorso, Boris Johnson, ministro degli esteri britannico, ha tenuto un discorso pubblico che ha riscosso molta eco nel Regno Unito. Johnson, ex sindaco di Londra, è noto per la sua personalità esuberante, le posizioni chiare e forti, l’ambizione politica. È uno strenuo fautore della Brexit e un convinto sostenitore dell’eccezionalismo britannico, cioè l’idea che il Regno Unito abbia tutte le risorse umane, finanziarie e materiali per poter vivere senza problemi al di fuori della Ue. Anche grazie a due speciali caratteristiche, o vantaggi, che rendono assai particolare la posizione del Regno Unito nel contesto mondiale: la lingua inglese, che ormai è l’esperanto degli affari e della ricerca scientifica, e, soprattutto, la posizione di guida all’interno del Commonwealth, l’associazione fra i paesi dell’ex impero britannico (e non solo questi) che riunisce nazioni sparse ai quattro angoli del globo: Canada, Australia, India, Sud Africa e altre 49 nazioni, per un totale di 2,4 miliardi di abitanti. Tutte democrazie che condividono la stessa lingua e valori comuni inerenti i diritti umani, la libertà di pensiero e la libertà di commercio. Per certi versi, un’organizzazione più coesa della Ue, anche se priva di un parlamento comune e di un sistema normativo analogo a quello europeo.
Johnson ha accusato Jeremy Corbyn, leader dei laburisti, e gran parte dei mass media di ingiustificato pessimismo sul futuro del Regno Unito a causa della sua prossima uscita dalla Ue. Ha tratteggiato Corbyn come colui che “attacca costantemente la Nato e vorrebbe smantellare le nostre forze armate”, un esponente “il cui primo istinto, di fronte a qualsiasi crisi internazionale, è di sospendere ogni giudizio fino a quando non riesce a trovare il modo di darne la colpa alla politica estera inglese”. Ha poi sottolineato quanto Corbyn sia “colui la cui risposta ai tragici eventi del Venezuela è stata quella di prendere le difese del regime di Maduro, semplicemente perché si tratta di un regime schierato a sinistra”. D’altronde, ha proseguito, Corbyn “ha espresso ammirazione per il socialismo rivoluzionario in versione Bolivarista. Nel momento in cui il mondo intero dovrebbe coalizzarsi per condannare Maduro, il leader ufficiale dell’Opposizione spalleggia un governo che imprigiona gli oppositori, spara sui dimostranti, minaccia i giornalisti e viola i diritti umani”.
Dato il benservito all’avversario principale, Johnson ha concluso il suo discorso riallacciandosi al tema della Brexit: “Ebbene sì, ci accingiamo a lasciare l’Unione europea, ma – come ha già detto il primo ministro nel suo discorso di Firenze – siamo nelle condizioni di creare una partnership speciale basata sul libero commercio con una Unione europea rinforzata dal dialogo con un forte Regno Unito. Poiché è del tutto assurdo affermare che l’assorbimento dei valori europei, o l’appartenenza alla cultura e alla civiltà europea, sono definiti dall’adesione alle istituzioni comunitarie, è evidente che non siamo e non saremo meno europei di altri. Il Regno Unito continuerà ad essere Europeo sotto il profilo culturale, geografico, storico, spirituale e morale, potete scommetterci!”.
Un ministro conservatore, intervistato dal Telegraph, ha affermato che “è difficile non vedere in questo discorso una candidatura per la leadership del partito…”.
Il primo ministro Theresa May, dal canto suo, non era presente al discorso di Johnson perché impegnata in alcune interviste televisive. Durante una di queste ha detto di non aver alcuna contrarietà alla presenza di voci dissenzienti dentro il suo partito e dentro il governo. Anzi, ha rimarcato di considerare vera leadership quella che sa ascoltare tutte le voci e che evita di farsi circondare da yesmen.
Vedremo nei prossimi mesi se il ruggito di Boris Johnson è solo un grido nel deserto o se il ministro degli esteri conquisterà la maggioranza dei parlamentari conservatori.
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