Il mondo è tornato agli anni ’30?
L’attuale assetto del sistema internazionale ripropone schemi tipici dell’inizio del Novecento e degli anni Trenta. La politica prende la sua rivincita sull’economia.
Al contrario di quanto immaginato nella teoria sulla “fine della storia”, tanto cara a Francis Fukuyama [1], la democrazia affronta una crisi esistenziale la quale ci rammenta che questo sistema di governo non è eterno. Gli anni Trenta videro numerosi regimi democratici spazzati via da rivoluzioni di movimenti totalitari, quali il fascismo in Italia e il nazismo in Germania; da regimi ultranazionalisti, come l’Ungheria dell’ammiraglio Horthy; da guerre civili, come accadde in Spagna, o da sconfitte militari, come accadde in Francia nel 1940. Di fatto, a ben guardare, il decennio del 2010 presenta numerosi elementi in comune con gli anni ’30.
Innanzitutto, le conseguenze di una grave crisi del capitalismo – la più grave dopo quella del 1929 – che ha messo in pericolo il settore finanziario e ha provocato una deflazione da debiti. Inoltre, la destabilizzazione del ceto medio – classe sociale su cui si basa ogni democrazia – colpito duramente dalla disoccupazione, dalla caduta del reddito e della ricchezza, dal blocco della mobilità sociale. Così come nel periodo fra le due guerre vi fu una escalation delle minacce esterne, provenienti dai regimi totalitari, oggi crescono le minacce del jihadismo e delle “democrature” [2]. Infine, i regimi democratici si indeboliscono e si dividono di fronte alla trasformazione dell’ordine mondiale, e al passaggio della leadership fra il Regno Unito e gli Stati Uniti dopo la Prima Guerra mondiale, e fra gli Stati Uniti e la Cina oggi.
Tutti questi fenomeni confluiscono verso l’onda d’urto populista che distrugge le nazioni libere dall’interno. Partita dal cuore dell’Occidente, con la Brexit e l’elezione di Donald Trump nel 2016, si diffonde in Europa ma anche in America latina. Le nazioni si lacerano sulla spinta di divisioni sociali, legislative, razziali, generazionali o territoriali. La rabbia dei popoli e il tradimento delle élite finiscono per convergere. Così, i tre fragili fili di seta ai quali è sospesa la democrazia rischiano di spezzarsi: sul piano dei valori, la fede nella libertà; sul piano delle istituzioni, la forza dei contropoteri e il rispetto dello Stato di diritto; sul piano dei principi, il primato dello spirito di mediazione rispetto al fanatismo.
Tuttavia, il nostro mondo resta comunque molto diverso da quello degli anni ’30. La popolazione mondiale cresce, ma invecchia anche velocemente – con l’importante eccezione dell’Africa. Il capitalismo è ormai diffuso in tutto il mondo, anche se i suoi schemi cambiano a seconda dei luoghi e la globalizzazione si riorganizza in aree geografiche circoscritte. La crisi del 2008 non è degenerata in una depressione economica mondiale grazie al salvataggio delle banche, al sostegno del mercato attraverso la spesa pubblica e, fino all’elezione di Donald Trump, al contenimento del protezionismo. La società aperta mostra segnali di resistenza, come avviene quando i cittadini difendono la libertà di circolazione dei beni, dei servizi, delle informazioni e delle persone. Le democrature non sono paragonabili ai regimi totalitari, i quali univano ideologia della razza o della classe sociale, fusione dello Stato e del partito, controllo assoluto dell’economia e della società, uso della psicologia del terrore per colpire le masse, guerra interna ed esterna; per il momento, le democrature non si sono saldate in un unico blocco. Infine, gli arsenali di armi di distruzione di massa costituiscono un mezzo di dissuasione, seppur precario, contro il ricorso alla forza armata, che potrebbe rapidamente trasformarsi in un’apocalisse.
L’attuale assetto del sistema internazionale ripropone schemi tipici dell’inizio del Novecento e degli anni ’30. La politica prende la sua rivincita sull’economia, e chiude un ciclo storico di globalizzazione e di apertura delle società che si è concluso con l’insorgenza di movimenti nazionalistici. La Prima Guerra mondiale pose fine all’Europa liberale, che nel 1900 controllava il 70% delle terre emerse e della popolazione mondiale. Allo stesso modo, Donald Trump realizza il sogno di Xi Jinping, Vladimir Putin e Recep Erdogan: distrugge un secolo di soft power [3] americano, celebra l’avvento di un mondo post-occidentale e fa guadagnare vent’anni alla Cina nella sua corsa alla dominazione del pianeta.
Le democrazie sono vittime non tanto della forza dei loro nemici esterni, quanto soprattutto dei loro demoni interiori. L’elemento che accomuna davvero i decenni 1890, 1930 e 2010, va cercato nella deleteria fusione delle passioni sociali, nazionali e religiose: infatti, come osservò Raymond Aron [4], le ideologie del XX secolo possono essere sostanzialmente considerate religioni laiche. Il destino del XXI secolo dipenderà dunque dalla loro capacità di reinventarsi e di costruire un patto civico. Così fu alla fine del XIX secolo con la formazione delle masse salariate, l’estensione del diritto di voto con il suffragio universale e l’integrazione della classe operaia – intorno a figure di spicco come Theodore Roosevelt, Lloyd George, Jean Jaurès o Georges Clemenceau. Così fu dopo la Seconda Guerra mondiale con l’era keynesiana del pieno impiego dei fattori produttivi, la nascita dello Stato sociale, la cooperazione economica e l’unità politica delle nazioni libere per opporsi all’Unione Sovietica – tutti elementi inseparabili da Franklin Roosevelt e Harry Truman, da Winston Churchill e dal generale de Gaulle.
E oggi, questa è la linea politica seguita dalle democrazie del Nord Europa, che si sono riformate per conciliare competitività economica e solidarietà, società aperta e sovranità nazionale, vitalità dello Stato di diritto e riarmo di fronte alla pressione esercitata dai russi nel Mar Baltico.
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[1] Politologo statunitense, teorico del concetto di “fine della storia”: dopo aver raggiunto l’apice alla fine del XX secolo, l’evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità starebbe ora attraversando la sua fase conclusiva - ndt.
[2] Neologismo composto da “democrazia” e “dittatura”, per indicare una forma di pseudo-democrazia, o democrazia illiberale, nella quale convivono elementi democratici ed elementi autoritari - ndt.
[3] Capacità di un soggetto politico di influenzare e determinare le dinamiche internazionali attraverso strumenti immateriali e “diffusi”, quali la cultura, la diplomazia, l’educazione - ndt.
[4] Storico, sociologo e filosofo francese. Secondo la sua teoria, le ideologie politiche dell’era contemporanea, come ad esempio il marxismo, avrebbero acquisito molte caratteristiche tipiche dei culti religiosi, diventando di fatto una sorta di religioni laiche - ndt.
© Nicolas Baverez, 2018, Le Figaro
Il mondo è tornato agli anni ’30?
L’attuale assetto del sistema internazionale ripropone schemi tipici dell’inizio del Novecento e degli anni Trenta. La politica prende la sua rivincita sull’economia.
Al contrario di quanto immaginato nella teoria sulla “fine della storia”, tanto cara a Francis Fukuyama [1], la democrazia affronta una crisi esistenziale la quale ci rammenta che questo sistema di governo non è eterno. Gli anni Trenta videro numerosi regimi democratici spazzati via da rivoluzioni di movimenti totalitari, quali il fascismo in Italia e il nazismo in Germania; da regimi ultranazionalisti, come l’Ungheria dell’ammiraglio Horthy; da guerre civili, come accadde in Spagna, o da sconfitte militari, come accadde in Francia nel 1940. Di fatto, a ben guardare, il decennio del 2010 presenta numerosi elementi in comune con gli anni ’30.
Innanzitutto, le conseguenze di una grave crisi del capitalismo – la più grave dopo quella del 1929 – che ha messo in pericolo il settore finanziario e ha provocato una deflazione da debiti. Inoltre, la destabilizzazione del ceto medio – classe sociale su cui si basa ogni democrazia – colpito duramente dalla disoccupazione, dalla caduta del reddito e della ricchezza, dal blocco della mobilità sociale. Così come nel periodo fra le due guerre vi fu una escalation delle minacce esterne, provenienti dai regimi totalitari, oggi crescono le minacce del jihadismo e delle “democrature” [2]. Infine, i regimi democratici si indeboliscono e si dividono di fronte alla trasformazione dell’ordine mondiale, e al passaggio della leadership fra il Regno Unito e gli Stati Uniti dopo la Prima Guerra mondiale, e fra gli Stati Uniti e la Cina oggi.
Tutti questi fenomeni confluiscono verso l’onda d’urto populista che distrugge le nazioni libere dall’interno. Partita dal cuore dell’Occidente, con la Brexit e l’elezione di Donald Trump nel 2016, si diffonde in Europa ma anche in America latina. Le nazioni si lacerano sulla spinta di divisioni sociali, legislative, razziali, generazionali o territoriali. La rabbia dei popoli e il tradimento delle élite finiscono per convergere. Così, i tre fragili fili di seta ai quali è sospesa la democrazia rischiano di spezzarsi: sul piano dei valori, la fede nella libertà; sul piano delle istituzioni, la forza dei contropoteri e il rispetto dello Stato di diritto; sul piano dei principi, il primato dello spirito di mediazione rispetto al fanatismo.
Tuttavia, il nostro mondo resta comunque molto diverso da quello degli anni ’30. La popolazione mondiale cresce, ma invecchia anche velocemente – con l’importante eccezione dell’Africa. Il capitalismo è ormai diffuso in tutto il mondo, anche se i suoi schemi cambiano a seconda dei luoghi e la globalizzazione si riorganizza in aree geografiche circoscritte. La crisi del 2008 non è degenerata in una depressione economica mondiale grazie al salvataggio delle banche, al sostegno del mercato attraverso la spesa pubblica e, fino all’elezione di Donald Trump, al contenimento del protezionismo. La società aperta mostra segnali di resistenza, come avviene quando i cittadini difendono la libertà di circolazione dei beni, dei servizi, delle informazioni e delle persone. Le democrature non sono paragonabili ai regimi totalitari, i quali univano ideologia della razza o della classe sociale, fusione dello Stato e del partito, controllo assoluto dell’economia e della società, uso della psicologia del terrore per colpire le masse, guerra interna ed esterna; per il momento, le democrature non si sono saldate in un unico blocco. Infine, gli arsenali di armi di distruzione di massa costituiscono un mezzo di dissuasione, seppur precario, contro il ricorso alla forza armata, che potrebbe rapidamente trasformarsi in un’apocalisse.
L’attuale assetto del sistema internazionale ripropone schemi tipici dell’inizio del Novecento e degli anni ’30. La politica prende la sua rivincita sull’economia, e chiude un ciclo storico di globalizzazione e di apertura delle società che si è concluso con l’insorgenza di movimenti nazionalistici. La Prima Guerra mondiale pose fine all’Europa liberale, che nel 1900 controllava il 70% delle terre emerse e della popolazione mondiale. Allo stesso modo, Donald Trump realizza il sogno di Xi Jinping, Vladimir Putin e Recep Erdogan: distrugge un secolo di soft power [3] americano, celebra l’avvento di un mondo post-occidentale e fa guadagnare vent’anni alla Cina nella sua corsa alla dominazione del pianeta.
Le democrazie sono vittime non tanto della forza dei loro nemici esterni, quanto soprattutto dei loro demoni interiori. L’elemento che accomuna davvero i decenni 1890, 1930 e 2010, va cercato nella deleteria fusione delle passioni sociali, nazionali e religiose: infatti, come osservò Raymond Aron [4], le ideologie del XX secolo possono essere sostanzialmente considerate religioni laiche. Il destino del XXI secolo dipenderà dunque dalla loro capacità di reinventarsi e di costruire un patto civico. Così fu alla fine del XIX secolo con la formazione delle masse salariate, l’estensione del diritto di voto con il suffragio universale e l’integrazione della classe operaia – intorno a figure di spicco come Theodore Roosevelt, Lloyd George, Jean Jaurès o Georges Clemenceau. Così fu dopo la Seconda Guerra mondiale con l’era keynesiana del pieno impiego dei fattori produttivi, la nascita dello Stato sociale, la cooperazione economica e l’unità politica delle nazioni libere per opporsi all’Unione Sovietica – tutti elementi inseparabili da Franklin Roosevelt e Harry Truman, da Winston Churchill e dal generale de Gaulle.
E oggi, questa è la linea politica seguita dalle democrazie del Nord Europa, che si sono riformate per conciliare competitività economica e solidarietà, società aperta e sovranità nazionale, vitalità dello Stato di diritto e riarmo di fronte alla pressione esercitata dai russi nel Mar Baltico.
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[1] Politologo statunitense, teorico del concetto di “fine della storia”: dopo aver raggiunto l’apice alla fine del XX secolo, l’evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità starebbe ora attraversando la sua fase conclusiva - ndt.
[2] Neologismo composto da “democrazia” e “dittatura”, per indicare una forma di pseudo-democrazia, o democrazia illiberale, nella quale convivono elementi democratici ed elementi autoritari - ndt.
[3] Capacità di un soggetto politico di influenzare e determinare le dinamiche internazionali attraverso strumenti immateriali e “diffusi”, quali la cultura, la diplomazia, l’educazione - ndt.
[4] Storico, sociologo e filosofo francese. Secondo la sua teoria, le ideologie politiche dell’era contemporanea, come ad esempio il marxismo, avrebbero acquisito molte caratteristiche tipiche dei culti religiosi, diventando di fatto una sorta di religioni laiche - ndt.
© Nicolas Baverez, 2018, Le Figaro
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