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Il Quoziente di Intelligenza? Sta calando in molti paesi…

Forse le nostre nonne avevano ragione: la gente diventa sempre più stupida. Diverse ricerche dimostrano che nei paesi sviluppati il QI, in costante aumento per la maggior parte del secolo scorso, sta iniziando a diminuire.

La ricerca più approfondita è appena stata pubblicata negli Stati Uniti. Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg hanno analizzato dati provenienti dalla Norvegia, dove il servizio militare è obbligatorio e alle reclute viene somministrato un test d’intelligenza standardizzato per la valutazione del QI. Hanno scoperto che la leva del 1991 in media ha un QI di cinque punti inferiore rispetto a quella del 1975.

I risultati confermano quelli ottenuti da altre ricerche in Finlandia, Estonia, Francia, Danimarca e Regno Unito. Le dimensioni complessive delle analisi (730.000 reclute) lasciano pochi spazi ai dubbi e rendono i risultati degni di grande attenzione. L’intelligenza è fortemente correlata a diversi importanti fenomeni. Chi ha un QI più alto, nel complesso ha più probabilità di avere un lavoro migliore, di non andare in carcere, di essere sano e persino di avere una sensibilità morale più sviluppata. L’aumento globale del QI avvenuto nel corso del Novecento è andato di pari passo con la diminuzione della povertà, dell’incidenza delle malattie e, dopo il 1945, della violenza. Se l’umanità ora sta diventando più stupida, dovremmo affrettarci a capire quale sia la causa.

Invece, la diminuzione delle nostre capacità cognitive sta passando in larga parte inosservata e nessuno ne parla: pochi giornalisti, e ancor meno politici, affrontano l’argomento. Il valore e il carattere ereditario dell’intelligenza sono dati per scontati dalla maggior parte dei neuroscienziati, degli psicologi e dei genetisti, ma cade in errore chi dà ingenuamente per scontato che il consenso sia tale anche al di fuori dagli ambienti accademici!

Molta gente continua a credere fermamente a cose non vere: che il QI non esista e che non possa essere espresso in modo significativo e che l’unica cosa che il QI è in grado di misurare sia la capacità di rispondere correttamente a un test di intelligenza. Tutte queste affermazioni sono state confutate decenni orsono, eppure l’idea che esistano differenze innate tra le persone continua a darci fastidio.

Per capire la ragione per cui i decisori politici guardano con sospetto quest’idea, occorre considerare quella che finora è stata la principale spiegazione per la recente diminuzione nei punteggi dei test d’intelligenza. Quasi tutti sono concordi nell’attribuire l’aumento del QI verificatosi nel Novecento a fattori ambientali. L’aumento è noto come effetto Flynn, dal nome del professore neozelandese che lo portò alla ribalta nel 1984. James Flynn scoprì che i punteggi nei test d’intelligenza erano aumentati di tre punti ogni decennio, con un incremento che, seppur in modo irregolare, era osservabile in tutto il mondo. Un aumento così rapido non può avere una causa evolutiva e quindi le spiegazioni principali sono di natura nutrizionale (i nostri cervelli sono organi esigenti che consumano circa un quinto dell’apporto energetico totale) ed educativa (le scuole e gli ambienti di lavoro moderni stimolano la capacità analitica e di astrazione, che invece possono rimanere latenti nelle società agrarie non alfabetizzate).

Orbene, molti esperti ritengono che, se il QI sta diminuendo, la causa risiede nel fatto che questi fattori ambientali hanno mascherato un declino silente e secolare, cioè di lungo periodo. In altre parole l’intelligenza ereditaria registra una costante diminuzione, mentre l’intelligenza acquisita è aumentata grazie ai miglioramenti nella salute, nell’apporto calorico, nella stimolazione culturale e così via. Una volta che i fattori ambientali si sono stabilizzati, il declino genetico è diventato nuovamente percepibile.

Quale potrebbe essere la causa del declino dell’intelligenza innata? Qui ci vengono in soccorso le statistiche pubbliche. Tutte le teorie che esporremo sono controverse, ma iniziamo con la meno scomoda, secondo la quale le donne diventano madri più tardi e i figli delle madri più anziane tendono, a parità di altri fattori, ad ottenere punteggi inferiori nei test di intelligenza. Il concetto di probabilità non è di semplice comprensione, quindi l’osservazione che esiste un differenziale quando viene misurato un numero sufficiente di casi si traduce con “le madri più anziane avranno figli più stupidi”, cosa ovviamente non vera. Mia moglie e io abbiamo avuto un figlio all’età di 44 anni e anche i miei genitori non erano più giovanissimi, ma non sono così tardo da non capire le distribuzioni statistiche.

Se pensate che questa spiegazione sia discutibile, ce ne sono altre ugualmente controverse. Alcuni psicometristi ritengono che, detto in termini piuttosto diretti, le persone stupide si riproducano di più rispetto a quelle intelligenti, e che si verifichi quindi la situazione opposta rispetto a quella dell’epoca precedente la Rivoluzione Industriale. Altri affermano che i risultati dei test nei paesi occidentali siano influenzati dall’immigrazione di persone provenienti da paesi in cui il QI medio è inferiore.

La ricerca norvegese smonta tutte queste teorie, perché ha evidenziato che il QI è in diminuzione anche all’interno delle stesse famiglie: i padri mettono al mondo figli meno intelligenti di loro. Questo fatto non può essere attribuito all’immigrazione o alla genetica, e il lieve aumento dell’età in cui si decide di avere un figlio non spiega nemmeno lontanamento un declino di tale portata.

In definitiva, la spiegazione sta proprio nei fattori ambientali. Forse la causa è alimentare o forse il nostro livello di benessere e di movimento in generale è talmente in declino da avere una ricaduta sullo sviluppo cerebrale. Forse negli asili non si insegna più ai bambini ad ascoltare con attenzione e quindi i bambini arrivano meno preparati alla scuola. O forse le nuove teorie sull’educazione, che mettono l’accento sull’espressione di sé anziché sull’assimilazione dei concetti (cosa per cui è necessario essere concentrati), hanno conseguenze drammatiche. 

La mia personale opinione, del tutto non scientifica, è che il calo intellettuale abbia qualcosa a che fare con il fatto che i bambini siano esposti alla televisione accesa praticamente per tutte le ore del giorno. Il tenere lo sguardo fisso su quel caleidoscopio di immagini colorate, frenetiche, piene di voci e suoni, rende inevitabilmente difficile il riservare un po’ di attenzione mentale al grigio, piatto mondo che vive al di fuori dello schermo. La diffusione crescente della televisione satellitare e via cavo nei paesi avanzati, inclusi i canali espressamente rivolti ai più piccoli, non può essere un mera coincidenza con la situazione di cui parliamo. Con l’avanzare delle tecnologie, oggi i bambini possono vedere sul proprio tablet, più o meno personale, tutto quello che vedevano in tv, il che induce un ancor più alto livello di passività, inerzia, ipnotizzazione.

Può darsi che io stia accusando il colpevole sbagliato. Anche voi, certamente, avrete le vostre teorie su questo tema. Ma allora, mi domando, non sarebbe forse il caso che tutta la società riconosca la gravità del problema e cerchi di trovare una soluzione?

© Telegraph Media Group Limited (2018)