Il summit cruciale per il governo inglese
Oggi, 6 giugno 2018, l’intero governo britannico si riunisce nella residenza di campagna dal primo ministro Theresa May (la tenuta di Chequers) per decidere se approvare o meno il suo piano (Libro Bianco) per la gestione dei rapporti UK-UE dal 1 gennaio 2021, cioè dal momento dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Si fronteggiano due linee all’interno del governo e del partito Conservatore: quella che propugna la cancellazione di ogni rapporto speciale con la UE (Hard Brexit) e quella che propone il mantenimento di alcuni legami e regole comuni (Soft Brexit).
Il tema forse più importante è quello delle frontiere. Il primo ministro vuole una soluzione radicale, cioè “Hard”, perché solo in questo modo il Regno Unito potrà stipulare accordi doganali con qualsiasi paese del mondo, in totale libertà. Il fronte Soft, invece, preferisce che vi siano accordi speciali con la UE, per evitare che le merci in uscita dal regno e dirette verso la UE (che rappresenta l’area di maggior interscambio con l’isola inglese) siano sottoposte a lente procedure doganali.
Altro problema non secondario è quello della frontiera tra l’Irlanda del Nord (Uk) e la Repubblica d’Irlanda. Attualmente, i transiti di cose e persone sono notevolmente facilitati. Con una soluzione Hard Brexit, gli intensi scambi tra le due aree sarebbero ostacolati.
La scelta della linea negoziale con la UE coinvolge il futuro del governo in carica, con il rischio di elezioni anticipate.
nota della redazione
Si vocifera che Theresa May, prima di presentare all’intero governo il suo piano per le dogane post-Brexit, ne abbia riferito i punti salienti ad Angela Merkel. Se ciò è vero, presumibilmente il primo ministro ha compiuto tale mossa per potere dire ai suoi ministri che il Libro Bianco innanzi a loro è già ritenuto accettabile dalla Germania e quindi, per estensione, dall’intera Unione Europea. Si tratta solo di supposizioni, ma fino a quando la riunione del governo non sarà conclusa, i pro-Brexit non possono fare altro che congetturare, ma anche ricordare ai parlamentari conservatori che sono stati eletti per portare a casa l’uscita dalla UE.
Gli inglesi hanno votato per la Brexit nella speranza di riavere indietro il controllo dei propri tribunali, dei propri confini, delle proprie leggi, e di riprendersi il diritto a commerciare con chiunque vogliano, ovunque nel mondo. Questa scelta è stata ribadita nel manifesto del partito Conservatore pubblicato nel 2017, ampiamente dibattuto in parlamento, nel quale è scritto che un cattivo accordo con la UE sarebbe peggio che restare senza alcun accordo. Di conseguenza, qualsiasi proposta che il Regno Unito sottoporrà alla UE per gestire le relazioni post-Brexit non potrà non rispettare questi principi di interesse nazionale.
Molti di coloro che hanno votato in favore della Brexit (“Leavers”) vedono di pessimo occhio alcune indiscrezioni secondo le quali il governo avrebbe intenzione di vincolare il Regno Unito alle normative europee attraverso un trattato speciale. Un vincolo di questo livello renderebbe difficile ridurre poi i gravami della nuova regolamentazione. Inoltre, diventerebbe arduo raggiungere un accordo con gli Stati Uniti, soprattutto se il Regno Unito resterà allineato alle norme europee in materia di agricoltura e alimenti. Ma poi, sarebbe giusto vincolare con un trattato le legislature successive a quella in corso? Abbiamo già sperimentato una cosa di questo tipo quando nel 1973 entrammo nel MEC… Jacob Rees-Mogg (deputato appartenente all’ala più destra del partito conservatore - ndt) ha già detto che il Regno Unito rischia di diventare uno Stato vassallo. La divisione all’interno del partito di governo è dunque molto netta.
Un compromesso finale all’interno del governo può ancora essere possibile, e la riunione di oggi dimostrerà se vi è un senso di responsabilità collettivo. Occorre un serio dibattito interno. I ministri animati da principi di coerenza – o coloro i quali si rendono conto che il rispetto della volontà popolare espressa nel referendum è qualcosa di inderogabile – hanno il dovere di parlar chiaro. Il primo ministro potrebbe gettare sul tavolo tutto il peso della sua autorità e indicare ai ministri le tre scelte possibili: “il vostro appoggio, le mie dimissioni o quelle di chi mi è contro”. Anche un solo ministro dimissionario potrebbe essere interpretato come una richiesta di dimissioni per la May: dato il ristretto margine di maggioranza in parlamento, ciò potrebbe condurre non solo alle dimissioni del primo ministro, ma di tutto il governo. La situazione sembra molto simile ad un gioco a scacchi tridimensionale…
In definitiva, è necessario che i ministri riflettano sul significato e sul potenziale insiti nella Brexit. Il miglior esito possibile per l’importante riunione di oggi è che il governo si rinsaldi attorno ad una posizione negoziale realistica nei confronti della UE - su questo siamo d’accordo - ma è anche necessario che questa posizione sia chiara e ambiziosa per il futuro del Regno Unito.
© Telegraph Media Group Limited (2018)
Il summit cruciale per il governo inglese
Oggi, 6 giugno 2018, l’intero governo britannico si riunisce nella residenza di campagna dal primo ministro Theresa May (la tenuta di Chequers) per decidere se approvare o meno il suo piano (Libro Bianco) per la gestione dei rapporti UK-UE dal 1 gennaio 2021, cioè dal momento dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Si fronteggiano due linee all’interno del governo e del partito Conservatore: quella che propugna la cancellazione di ogni rapporto speciale con la UE (Hard Brexit) e quella che propone il mantenimento di alcuni legami e regole comuni (Soft Brexit).
Il tema forse più importante è quello delle frontiere. Il primo ministro vuole una soluzione radicale, cioè “Hard”, perché solo in questo modo il Regno Unito potrà stipulare accordi doganali con qualsiasi paese del mondo, in totale libertà. Il fronte Soft, invece, preferisce che vi siano accordi speciali con la UE, per evitare che le merci in uscita dal regno e dirette verso la UE (che rappresenta l’area di maggior interscambio con l’isola inglese) siano sottoposte a lente procedure doganali.
Altro problema non secondario è quello della frontiera tra l’Irlanda del Nord (Uk) e la Repubblica d’Irlanda. Attualmente, i transiti di cose e persone sono notevolmente facilitati. Con una soluzione Hard Brexit, gli intensi scambi tra le due aree sarebbero ostacolati.
La scelta della linea negoziale con la UE coinvolge il futuro del governo in carica, con il rischio di elezioni anticipate.
nota della redazione
Si vocifera che Theresa May, prima di presentare all’intero governo il suo piano per le dogane post-Brexit, ne abbia riferito i punti salienti ad Angela Merkel. Se ciò è vero, presumibilmente il primo ministro ha compiuto tale mossa per potere dire ai suoi ministri che il Libro Bianco innanzi a loro è già ritenuto accettabile dalla Germania e quindi, per estensione, dall’intera Unione Europea. Si tratta solo di supposizioni, ma fino a quando la riunione del governo non sarà conclusa, i pro-Brexit non possono fare altro che congetturare, ma anche ricordare ai parlamentari conservatori che sono stati eletti per portare a casa l’uscita dalla UE.
Gli inglesi hanno votato per la Brexit nella speranza di riavere indietro il controllo dei propri tribunali, dei propri confini, delle proprie leggi, e di riprendersi il diritto a commerciare con chiunque vogliano, ovunque nel mondo. Questa scelta è stata ribadita nel manifesto del partito Conservatore pubblicato nel 2017, ampiamente dibattuto in parlamento, nel quale è scritto che un cattivo accordo con la UE sarebbe peggio che restare senza alcun accordo. Di conseguenza, qualsiasi proposta che il Regno Unito sottoporrà alla UE per gestire le relazioni post-Brexit non potrà non rispettare questi principi di interesse nazionale.
Molti di coloro che hanno votato in favore della Brexit (“Leavers”) vedono di pessimo occhio alcune indiscrezioni secondo le quali il governo avrebbe intenzione di vincolare il Regno Unito alle normative europee attraverso un trattato speciale. Un vincolo di questo livello renderebbe difficile ridurre poi i gravami della nuova regolamentazione. Inoltre, diventerebbe arduo raggiungere un accordo con gli Stati Uniti, soprattutto se il Regno Unito resterà allineato alle norme europee in materia di agricoltura e alimenti. Ma poi, sarebbe giusto vincolare con un trattato le legislature successive a quella in corso? Abbiamo già sperimentato una cosa di questo tipo quando nel 1973 entrammo nel MEC… Jacob Rees-Mogg (deputato appartenente all’ala più destra del partito conservatore - ndt) ha già detto che il Regno Unito rischia di diventare uno Stato vassallo. La divisione all’interno del partito di governo è dunque molto netta.
Un compromesso finale all’interno del governo può ancora essere possibile, e la riunione di oggi dimostrerà se vi è un senso di responsabilità collettivo. Occorre un serio dibattito interno. I ministri animati da principi di coerenza – o coloro i quali si rendono conto che il rispetto della volontà popolare espressa nel referendum è qualcosa di inderogabile – hanno il dovere di parlar chiaro. Il primo ministro potrebbe gettare sul tavolo tutto il peso della sua autorità e indicare ai ministri le tre scelte possibili: “il vostro appoggio, le mie dimissioni o quelle di chi mi è contro”. Anche un solo ministro dimissionario potrebbe essere interpretato come una richiesta di dimissioni per la May: dato il ristretto margine di maggioranza in parlamento, ciò potrebbe condurre non solo alle dimissioni del primo ministro, ma di tutto il governo. La situazione sembra molto simile ad un gioco a scacchi tridimensionale…
In definitiva, è necessario che i ministri riflettano sul significato e sul potenziale insiti nella Brexit. Il miglior esito possibile per l’importante riunione di oggi è che il governo si rinsaldi attorno ad una posizione negoziale realistica nei confronti della UE - su questo siamo d’accordo - ma è anche necessario che questa posizione sia chiara e ambiziosa per il futuro del Regno Unito.
© Telegraph Media Group Limited (2018)
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