Il voto austriaco fa gioire Budapest e Varsavia
Le elezioni austriache di ottobre 2017 hanno registrato la vittoria (relativa) del partito popolare (ÖVP) guidato dal giovanissimo Sebastian Kurz, ex ministro degli esteri. L'asse politico del paese si è spostato nettamente a destra. Sul Figaro, una breve analisi della nuova situazione.
nota della redazione
Con Sebastian Kurz, gli austriaci hanno eletto a capo della Cancelleria un giovane ministro degli Esteri di 31 anni, conservatore, noto per la sua franchezza e il suo dinamismo. «Un leader della generazione dei Millennial», come ha sottolineato lunedì il giornale online Politico. Ma non bisogna lasciarsi ingannare: se qualcuno vede in lui un secondo Emmanuel Macron e parla di una nouvelle vague di leader europei, il giovane “albero” Kurz non può occultare la “foresta” di voti anti-immigrazione che hanno dominato lo scrutinio austriaco di ottobre 2017 e che continuano a scuotere l’Europa, elezione dopo elezione. Se il giovane ministro, ha fatto vincere il suo Partito Popolare (ÖVP) e gli ha permesso di arrivare primo con circa il 32% dei voti, è anche perché è andato a caccia di consensi nelle zone anti-immigrazione del Partito della Libertà (FPÖ), facendo suo l’appello dell’estrema destra che chiede di porre fine all’immigrazione illegale, di rafforzare le frontiere esterne dell’Unione Europea e di limitare l’accesso agli ampi benefici dello Stato previdenziale austriaco.
«In termini di contenuti, il Partito della Libertà ha “vinto” le elezioni, perché queste si sono giocate sul suo terreno, su temi per cui lotta da anni», spiega Heather Grabbe, direttore dell’Istituto di politica europea Open Society, al Financial Times. Inoltre, anche se si è fatto “rubare” la scena dal Partito Popolare, il Partito della Libertà conquista comunque il 26% dei voti, una quota notevole, che lo pone praticamente alla pari con il Partito socialdemocratico SPÖ. Con una giusta osservazione, Angela Merkel ha definito il risultato dell’estrema destra una “grande sfida” per le altre formazioni politiche. E sebbene Kurz non abbia ancora chiarito le sue intenzioni, molti analisti scommettono su un’alleanza fra conservatori (ÖVP) e Partito della Libertà; scenario che metterebbe fine a un decennio di coalizione allargata con i socialdemocratici.
«Il risultato del voto era prevedibile, perché gli austriaci sono molto più sensibili degli altri cittadini dell’Europa occidentale al tema delle migrazioni, in quanto l’Austria è stata un punto di transito dell’ondata migratoria degli ultimi anni. Ma in realtà, la preoccupazione che si è espressa col voto austriaco attraversa tutta l’Europa, dalla Francia ai Paesi Bassi, passando per la Gran Bretagna e la Germania, come si è visto con la Brexit e con le ultime elezioni tedesche», osserva Jean Dominique Giuliani, presidente della fondazione Robert Schuman. «Di fronte a una classe dirigente europea che continua a ignorare il problema e a tenerlo sotto silenzio, limitandosi a confermare l’apertura dell’Europa, il voto popolare esprime in modo sempre più forte il proprio dissenso. La tensione diventerà sempre più esplosiva, se non verrà tolta questa cortina di silenzio per dare spazio al dibattito», avverte Schuman, che esorta «ad aprire un tavolo di confronto» sia a livello nazionale che in sede europea.
La preoccupazione di Berlino e di Parigi riguarda le “alleanze” che potrebbero formarsi fra l’Austria e gli stati del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), cioè tutta quella parte dell’Europa centrale le cui popolazioni si sono ribellate alla politica migratoria “aperta” dei paesi dell’Europa occidentale, perché a causa di questi nuovi flussi migratori quelle popolazioni vivono in uno “stato di panico demografico” e temono di perdere la loro identità, come racconta il politologo Ivan Krastev nel suo libro Il destino dell’Europa. Giuliani dubita che Kurz – il quale si autodefinisce europeista e che, a suo parere, vorrebbe restare «a fianco degli Stati fondatori» – possa essere ritenuto favorevole ai paesi del Gruppo di Visegrad, i quali rivendicano con forza la loro sovranità nazionale e si sono opposti alle quote dei migranti negoziate dalla Germania.
Secondo Giuliani, l’Austria auspicherebbe piuttosto a fare da “ponte” fra l’Est e l’Ovest, seguendo la sua consueta vocazione. In ogni caso, sulla questione dei migranti, Kurtz si è reso famoso per le sue aspre critiche contro la politica “di benvenuto” di Angela Merkel del 2015, e sembra più favorevole all’Europa delle Nazioni che all’Europa sovranazionale sognata da Macron. Mentre era ministro degli Esteri, Kurz concluse un accordo con i paesi vicini per chiudere ai migranti la rotta dei Balcani occidentali. D’altronde, il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, che considera Kurtz “un amico”, ha recentemente sottolineato: «sono contento che un partito nostro fratello abbia vinto le elezioni». E ha aggiunto: «Il candidato ÖVP ha preso spesso le stesse posizioni del governo ungherese».
In un’Europa che molti giudicano – in modo troppo superficiale – divisa fra l’Est sovranista e l’Ovest più “integrazionista”, Budapest e Varsavia devono improvvisamente sentirsi meno soli.
© Laure Mandeville, 2017, Le Figaro
Il voto austriaco fa gioire Budapest e Varsavia
Le elezioni austriache di ottobre 2017 hanno registrato la vittoria (relativa) del partito popolare (ÖVP) guidato dal giovanissimo Sebastian Kurz, ex ministro degli esteri. L'asse politico del paese si è spostato nettamente a destra. Sul Figaro, una breve analisi della nuova situazione.
nota della redazione
Con Sebastian Kurz, gli austriaci hanno eletto a capo della Cancelleria un giovane ministro degli Esteri di 31 anni, conservatore, noto per la sua franchezza e il suo dinamismo. «Un leader della generazione dei Millennial», come ha sottolineato lunedì il giornale online Politico. Ma non bisogna lasciarsi ingannare: se qualcuno vede in lui un secondo Emmanuel Macron e parla di una nouvelle vague di leader europei, il giovane “albero” Kurz non può occultare la “foresta” di voti anti-immigrazione che hanno dominato lo scrutinio austriaco di ottobre 2017 e che continuano a scuotere l’Europa, elezione dopo elezione. Se il giovane ministro, ha fatto vincere il suo Partito Popolare (ÖVP) e gli ha permesso di arrivare primo con circa il 32% dei voti, è anche perché è andato a caccia di consensi nelle zone anti-immigrazione del Partito della Libertà (FPÖ), facendo suo l’appello dell’estrema destra che chiede di porre fine all’immigrazione illegale, di rafforzare le frontiere esterne dell’Unione Europea e di limitare l’accesso agli ampi benefici dello Stato previdenziale austriaco.
«In termini di contenuti, il Partito della Libertà ha “vinto” le elezioni, perché queste si sono giocate sul suo terreno, su temi per cui lotta da anni», spiega Heather Grabbe, direttore dell’Istituto di politica europea Open Society, al Financial Times. Inoltre, anche se si è fatto “rubare” la scena dal Partito Popolare, il Partito della Libertà conquista comunque il 26% dei voti, una quota notevole, che lo pone praticamente alla pari con il Partito socialdemocratico SPÖ. Con una giusta osservazione, Angela Merkel ha definito il risultato dell’estrema destra una “grande sfida” per le altre formazioni politiche. E sebbene Kurz non abbia ancora chiarito le sue intenzioni, molti analisti scommettono su un’alleanza fra conservatori (ÖVP) e Partito della Libertà; scenario che metterebbe fine a un decennio di coalizione allargata con i socialdemocratici.
«Il risultato del voto era prevedibile, perché gli austriaci sono molto più sensibili degli altri cittadini dell’Europa occidentale al tema delle migrazioni, in quanto l’Austria è stata un punto di transito dell’ondata migratoria degli ultimi anni. Ma in realtà, la preoccupazione che si è espressa col voto austriaco attraversa tutta l’Europa, dalla Francia ai Paesi Bassi, passando per la Gran Bretagna e la Germania, come si è visto con la Brexit e con le ultime elezioni tedesche», osserva Jean Dominique Giuliani, presidente della fondazione Robert Schuman. «Di fronte a una classe dirigente europea che continua a ignorare il problema e a tenerlo sotto silenzio, limitandosi a confermare l’apertura dell’Europa, il voto popolare esprime in modo sempre più forte il proprio dissenso. La tensione diventerà sempre più esplosiva, se non verrà tolta questa cortina di silenzio per dare spazio al dibattito», avverte Schuman, che esorta «ad aprire un tavolo di confronto» sia a livello nazionale che in sede europea.
La preoccupazione di Berlino e di Parigi riguarda le “alleanze” che potrebbero formarsi fra l’Austria e gli stati del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), cioè tutta quella parte dell’Europa centrale le cui popolazioni si sono ribellate alla politica migratoria “aperta” dei paesi dell’Europa occidentale, perché a causa di questi nuovi flussi migratori quelle popolazioni vivono in uno “stato di panico demografico” e temono di perdere la loro identità, come racconta il politologo Ivan Krastev nel suo libro Il destino dell’Europa. Giuliani dubita che Kurz – il quale si autodefinisce europeista e che, a suo parere, vorrebbe restare «a fianco degli Stati fondatori» – possa essere ritenuto favorevole ai paesi del Gruppo di Visegrad, i quali rivendicano con forza la loro sovranità nazionale e si sono opposti alle quote dei migranti negoziate dalla Germania.
Secondo Giuliani, l’Austria auspicherebbe piuttosto a fare da “ponte” fra l’Est e l’Ovest, seguendo la sua consueta vocazione. In ogni caso, sulla questione dei migranti, Kurtz si è reso famoso per le sue aspre critiche contro la politica “di benvenuto” di Angela Merkel del 2015, e sembra più favorevole all’Europa delle Nazioni che all’Europa sovranazionale sognata da Macron. Mentre era ministro degli Esteri, Kurz concluse un accordo con i paesi vicini per chiudere ai migranti la rotta dei Balcani occidentali. D’altronde, il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, che considera Kurtz “un amico”, ha recentemente sottolineato: «sono contento che un partito nostro fratello abbia vinto le elezioni». E ha aggiunto: «Il candidato ÖVP ha preso spesso le stesse posizioni del governo ungherese».
In un’Europa che molti giudicano – in modo troppo superficiale – divisa fra l’Est sovranista e l’Ovest più “integrazionista”, Budapest e Varsavia devono improvvisamente sentirsi meno soli.
© Laure Mandeville, 2017, Le Figaro
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