La Brexit potrebbe mettere in crisi le università inglesi
I rettori delle università inglesi hanno dichiarato che una eventuale Brexit senza accordo con la Ue (“no-deal Brexit”) rappresenterebbe “una delle più gravi minacce” mai subite dal mondo universitario britannico, poiché essa renderebbe ancor meno attraenti le loro università per gli studenti degli altri paesi Ue, soprattutto a livelli dei dottorati di ricerca. Secondo il Russell Group, l’associazione che riunisce i 24 migliori atenei inglesi, in quest’anno accademico si è registrato un calo del 9% nel numero di studenti europei che hanno presentato richiesta di ammissione ai corsi master e Ph.D (l’equivalente dei nostri dottorati), da sommare all’identica riduzione registrata nell’anno precedente. Considerando tutti i livelli di studio universitario, il calo, in quest’anno accademico 2018-19, è stato del 3%, dopo che per molti anni si era sempre avuta una crescita costante.
Una lettera aperta inviata da 150 rettori ai membri del parlamento inglese afferma che l’eventuale Brexit senza accordo, “potrebbe produrre un arretramento accademico, culturale e scientifico per tutte le università inglesi che richiederebbe decenni per essere riassorbito”. I rettori sono preoccupati di perdere l’accesso ai cospicui finanziamenti europei per le attività di ricerca: l’European Research Council e il programma Marie Curie (MSCA) apporteranno 1,3 miliardi di euro nelle casse delle università inglesi nel corso dei prossimi due anni. Quindi, i rettori sperano che il governo inglese gestisca la Brexit in modo che tali fondi non vadano persi oppure che prenda l’impegno di sostituirsi alle casse Ue stanziando fondi equivalenti.
Il portavoce del governo inglese ha cercato di tranquillizzare il mondo universitario, affermando che “la scienza non ha confini e il Regno Unito ha una lunga tradizione di accoglienza nei confronti di ricercatori e scienziati provenienti dall’estero. Ciò non cambierà nel momento in cui il regno lascerà l’Unione Europea. Il governo, attraverso il programma Industrial Strategy sta investendo somme mai viste prima nel settore dello studio e della ricerca, e si impegnerà a trovare nuove forme di collaborazione con gli altri paesi Ue”.
La questione è di non poca importanza per i 14mila italiani che studiano nelle università inglesi e per il numero, molto maggiore, di coloro che aspirano ad entrarvi, nei prossimi anni. Attualmente, la retta per gli studenti europei è la stessa che viene applicata agli studenti inglesi: 9250 sterline l’anno, mentre gli studenti provenienti da altre aree del mondo devono pagare rette da 3 a 4 volte più elevate. Dunque, se il Regno Unito deciderà di applicare agli studenti Ue le stesse rette valide per gli extra-Ue, c’è da aspettarsi un drastico calo delle domande di iscrizione provenienti da Italia, Francia, Germania, Spagna e altri paesi Ue. Una prospettiva che, a quanto pare, non sembra far piacere neanche ai rettori universitari inglesi, ben consapevoli che ciò si tradurrebbe, prima o poi, in un abbassamento del livello qualitativo generale, soprattutto sul versante della ricerca post-graduate. Il che potrebbe innescare un circolo vizioso di discesa nei ranking internazionali e, a cascata, minor afflusso di stanziamenti pubblici e di donazioni private, nonché minor capacità di attrarre talenti, sia a livello di corpo docente che fra studenti e ricercatori.
© 2019, Thema International
La Brexit potrebbe mettere in crisi le università inglesi
I rettori delle università inglesi hanno dichiarato che una eventuale Brexit senza accordo con la Ue (“no-deal Brexit”) rappresenterebbe “una delle più gravi minacce” mai subite dal mondo universitario britannico, poiché essa renderebbe ancor meno attraenti le loro università per gli studenti degli altri paesi Ue, soprattutto a livelli dei dottorati di ricerca. Secondo il Russell Group, l’associazione che riunisce i 24 migliori atenei inglesi, in quest’anno accademico si è registrato un calo del 9% nel numero di studenti europei che hanno presentato richiesta di ammissione ai corsi master e Ph.D (l’equivalente dei nostri dottorati), da sommare all’identica riduzione registrata nell’anno precedente. Considerando tutti i livelli di studio universitario, il calo, in quest’anno accademico 2018-19, è stato del 3%, dopo che per molti anni si era sempre avuta una crescita costante.
Una lettera aperta inviata da 150 rettori ai membri del parlamento inglese afferma che l’eventuale Brexit senza accordo, “potrebbe produrre un arretramento accademico, culturale e scientifico per tutte le università inglesi che richiederebbe decenni per essere riassorbito”. I rettori sono preoccupati di perdere l’accesso ai cospicui finanziamenti europei per le attività di ricerca: l’European Research Council e il programma Marie Curie (MSCA) apporteranno 1,3 miliardi di euro nelle casse delle università inglesi nel corso dei prossimi due anni. Quindi, i rettori sperano che il governo inglese gestisca la Brexit in modo che tali fondi non vadano persi oppure che prenda l’impegno di sostituirsi alle casse Ue stanziando fondi equivalenti.
Il portavoce del governo inglese ha cercato di tranquillizzare il mondo universitario, affermando che “la scienza non ha confini e il Regno Unito ha una lunga tradizione di accoglienza nei confronti di ricercatori e scienziati provenienti dall’estero. Ciò non cambierà nel momento in cui il regno lascerà l’Unione Europea. Il governo, attraverso il programma Industrial Strategy sta investendo somme mai viste prima nel settore dello studio e della ricerca, e si impegnerà a trovare nuove forme di collaborazione con gli altri paesi Ue”.
La questione è di non poca importanza per i 14mila italiani che studiano nelle università inglesi e per il numero, molto maggiore, di coloro che aspirano ad entrarvi, nei prossimi anni. Attualmente, la retta per gli studenti europei è la stessa che viene applicata agli studenti inglesi: 9250 sterline l’anno, mentre gli studenti provenienti da altre aree del mondo devono pagare rette da 3 a 4 volte più elevate. Dunque, se il Regno Unito deciderà di applicare agli studenti Ue le stesse rette valide per gli extra-Ue, c’è da aspettarsi un drastico calo delle domande di iscrizione provenienti da Italia, Francia, Germania, Spagna e altri paesi Ue. Una prospettiva che, a quanto pare, non sembra far piacere neanche ai rettori universitari inglesi, ben consapevoli che ciò si tradurrebbe, prima o poi, in un abbassamento del livello qualitativo generale, soprattutto sul versante della ricerca post-graduate. Il che potrebbe innescare un circolo vizioso di discesa nei ranking internazionali e, a cascata, minor afflusso di stanziamenti pubblici e di donazioni private, nonché minor capacità di attrarre talenti, sia a livello di corpo docente che fra studenti e ricercatori.
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