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La crisi argentina e quella venezuelana

Argentina e Venezuela sono ormai sull’orlo del baratro, mentre le soluzioni proposte dai rispettivi governi per superare la crisi sono molto diverse.

Da un lato, il presidente venezuelano Nicolás Maduro sta tentando di distaccarsi dal monopolio globale del dollaro, pagando un prezzo molto alto in termini di inflazione.

Dall’altro, invece, il presidente argentino Mauricio Macri ha deciso di ricorrere al Fondo Monetario Internazionale per ottenere prestiti aggiuntivi. Entrambi i paesi, infatti, stanno pagando politiche monetarie dissennate.

In Venezuela, le previsioni dicono che il tasso d’inflazione potrebbe raggiungere il milione per cento entro la fine dell’anno. Un triste record mondiale. In pratica, il prezzo di un caffè al bar raddoppia nello spazio di un weekend, e così tutto il resto. In queste condizioni ogni attività economica diventa quasi impossibile.

Anche per questo, circa il 9% della popolazione ha già abbandonato il paese in cerca di miglior sorte altrove, dando vita a un esodo che secondo i sondaggi arriverà a quattro milioni di persone entro breve tempo. Inoltre, contro la dittatura di Maduro il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS), Luis Almagro, non ha escluso l’ipotesi di un intervento militare per ripristinare la democrazia.

È davvero sconcertante pensare che sino alla fine degli anni ‘90 il Venezuela aveva l’economia più ricca del Sudamerica, grazie alle più grandi riserve mondiali di petrolio. La rovina iniziò nel 2003, quando i dipendenti della compagnia petrolifera nazionale entrarono in sciopero e il Pil del paese precipitò del 27% in soli quattro mesi. Alla fine dello sciopero, Chavez dispose il cambio fisso, limiti alle importazioni e la nazionalizzazione di alcune imprese, che vennero poi gestite in modo del tutto inefficiente. L’anno successivo, il prezzo internazionale del petrolio calò all’improvviso e il Venezuela subì un altro duro colpo. La forte riduzione delle entrate impedì di finanziare le importazioni di beni esteri di prima necessità. Purtroppo, la facile ricchezza petrolifera del passato aveva disincentivato la creazione di imprese operanti nei più svariati settori, rendendo il paese del tutto dipendente dalle importazioni. Con l’aggiunta del crollo degli investimenti americani, il governo non trovò altra via per finanziare la nazione che indebitarsi in valuta nazionale. Ma Washington ha vietato al Venezuela di emettere bond negli Stati Uniti, rendendo l’indebitamento sull’estero quasi impossibile. Al Venezuela non è rimasta altra scelta che stampare moneta, generando un’inflazione mai vista prima.

Parallelamente, anche in Argentina si vivono tempi difficili. Nell’ultimo anno, a Buenos Aires, quasi ottomila persone hanno perso la casa. Nonostante il presidente Mauricio Macri abbia fatto ricorso al Fondo Monetario Internazionale, la manovra non ha evitato l’inflazione, che ormai veleggia al 29%, con un saldo commerciale in passivo e un Pil che cresce meno dell’uno per cento. È la terza volta in vent’anni che l’Argentina si trova a essere protagonista di una crisi profonda. La prima bancarotta fu dichiarata dal governo nel 1989 e la seconda, nel 2011, con tagli alla spesa sociale che impedirono alla nazione di ricostruire una rete di appoggio intorno agli strati più deboli della popolazione.

È un momento storico negativo per i due paesi, nonostante il Venezuela sia stata la nazione più ricca di petrolio del pianeta e l’Argentina la più sviluppata dell’America Latina. Due spietati esempi di fallimento politico ed economico.

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