Le azioni stanno diventando merce rara nel mondo: presto potrebbero diventare preziose come quadri d’autore o come gli appartamenti a Chelsea
Stiamo esaurendo il petrolio, le terre coltivabili, l’acqua, il carbone, il gas e forse anche le terre rare che sono essenziali – fra le altre cose – per costruire gli smartphone. Ma stiamo esaurendo anche qualcos’altro di cui non si parla mai: le azioni societarie.
Chiunque segua i mercati da vicino sa già bene che l’annuncio di una nuova grande quotazione in borsa è evento ormai molto raro. Pochi, tuttavia, si rendono conto di quanto il mercato azionario tradizionale sia sul viale del tramonto. Stando ai dati di JP Morgan, l’anno scorso il saldo netto delle nuove quotazioni di borsa è stato negativo, per la prima volta nella storia (in breve, vi è stato un calo delle azioni in circolazione). Per quest’anno, si prevede che il trend continui.
Ci sono stati alcuni segni di vita nel mercato delle nuove quotazioni (IPO – Initial Public Offerings), almeno sulla piazza di Londra. Bakkavor, azienda leader nel settore dei pasti preconfezionati, ha in programma di quotarsi e lo stesso vale per MRH, la catena di distribuzione carburanti, con un’operazione che potrebbe valere ben 1,5 miliardi di sterline. I russi sono tornati a farsi vedere, con la compagnia energetica En+ in vista della quotazione a Londra, mentre il gigante Saudi Aramco è in attesa dietro le quinte.
Complessivamente, il numero delle nuove quotazioni quest’anno è in crescita, secondo i report di Dealogic. Con lo svanire dei timori sulla Brexit, e con gli indici azionari al rialzo, un buon numero di ingressi in borsa sta avendo il via libera dalle autorità.
Eppure, a ben vedere, occorre essere notevolmente ottimisti per considerare queste notizie qualcosa di più che una piccola fiammata.
Il trend sul lungo periodo è quello di una diminuzione inarrestabile del numero di azioni in circolazione. JP Morgan ha analizzato le cifre del fenomeno, considerando la parte flottante di tutte le aziende quotate nelle principali borse del mondo come buona approssimazione del totale delle azioni ordinarie.
Un tempo, il totale delle azioni ordinarie sul mercato faceva un bel salto in su tutti gli anni, come ci si può aspettare da un’economia globale in crescita. All’apice della bolla delle dot-com, ogni anno venivano emesse azioni per un valore totale superiore ai 1.400 miliardi di dollari. Prima della crisi del 2008, il valore era di 800 miliardi di dollari. Il saldo ha continuato a rimanere leggermente positivo durante la recessione, ma ora ha iniziato a virare sul negativo. “Lo scorso anno il saldo delle nuove azioni emesse è andato in negativo per la prima volta e quest’anno si è attestato circa a zero”, conclude il report di JP Morgan. In parole povere, alla fine dell’anno ci sono meno azioni che all’inizio dell’anno.
Le cause di questo fenomeno sono moltissime. Le acquisizioni e le fusioni fanno sì che molte aziende escano dal mercato ogni anno. Fra quelle restanti, il riacquisto delle azioni riduce il numero dei titoli in circolazione. La diffusione delle acquisizioni “fuori Borsa” fa sì che ci siano molte alternative per i proprietari delle aziende che vogliono vendere. Contemporaneamente, il massiccio aumento della regolamentazione, con l’accumularsi di norme sulla governance, hanno reso la quotazione in borsa un peso di cui molti manager non vogliono farsi carico. Un tempo, la quotazione in borsa era il sogno nel cassetto di tutti gli imprenditori, nonché un ottimo modo per fare cassa, ma ora non è più così. Aziende come Uber e Airbnb dimostrano ben poco interesse a quotarsi, e la schiera di nuove piccole realtà nel settore tecnologico ne dimostra ancor meno. Risultato? Il totale delle aziende quotate in borsa è in netta contrazione.
Alla borsa di New York, nel momento del massimo splendore, erano quotate 8.000 aziende: ora sono meno di 4.500. Anche il trend della borsa di Londra è simile: un decennio fa c’erano più di 3.000 aziende quotate sul mercato primario e su quello secondario. Ora la cifra si attesta a poco più di 2.000. A un certo punto, i mercati emergenti hanno riempito il vuoto. Ma, come spiegano le cifre di JP Morgan, ora non è più così. Il mercato azionario tradizionale ora è ovunque in totale declino.
Questa situazione avrà tre conseguenze importanti, sia per i mercati sia per gli investitori. In primo luogo, l’intera infrastruttura di intermediazione finanziaria inizierà a scomparire. La City, con i broker, gli analisti e i gestori dei fondi, è stata costruita intorno al mercato azionario, e lo stesso si può dire per tutte le altre piazze finanziarie più importanti, che perderanno rilevanza, in parallelo alle transazioni finanziarie che avvengono al loro interno.
Certo, ci saranno altre attività in crescita. Le aziende continueranno ad avere proprietari che continueranno a dover raccogliere capitali. Ma la raccolta sarà organizzata in un modo molto diverso: le piattaforme di crowdfunding, ad esempio, potrebbero guadagnare in importanza.
In secondo luogo, ci sarà meno scelta. Gli investitori sono stati abituati a costruirsi un portafoglio con una gamma di industrie e paesi che più o meno riusciva a intercettare la crescita ovunque essa si concretizzasse. Questo è sempre meno vero. Ad esempio, approfittare della crescita esplosiva della tecnofinanza o dei servizi di streaming musicale può essere difficile. Non c’è molto da comprare. Lo stesso discorso vale per le aziende cinesi. In realtà, il mercato azionario sarà sempre più dominato dalle aziende tradizionali a crescita lenta. Probabilmente produrranno profitti, ma non ci sarà grande entusiasmo e nessun portafoglio rispecchierà più con esattezza l’economia globale.
Infine, le poche azioni rimaste avranno sempre più valore. Già nei prossimi anni i mercati potranno sembrare cari stando ai classici sistemi di misurazione. Molti di essi già lo sono, ed è questo il motivo per cui alcune persone temono un crollo. Ma le azioni diventeranno sempre più simili ai quadri d’autore o agli appartamenti di Chelsea: il loro valore sarà dato, oltre che dai profitti che potranno generare, anche dalla loro scarsità.
Il mercato azionario permetteva alle aziende di raccogliere capitali e, cosa altrettanto importante, permetteva alle persone comuni, mediante i risparmi e i fondi pensione, di partecipare alla ricchezza creata dal sistema. Ciò nonostante, il suo declino sembra essere inarrestabile. Forse ci potrà essere un’inversione di tendenza, ma non c’è da scommetterci. E questo cambierà il modo di investire per tutti noi.
© Telegraph Media Group Limited (2017)
Le azioni stanno diventando merce rara nel mondo: presto potrebbero diventare preziose come quadri d’autore o come gli appartamenti a Chelsea
Stiamo esaurendo il petrolio, le terre coltivabili, l’acqua, il carbone, il gas e forse anche le terre rare che sono essenziali – fra le altre cose – per costruire gli smartphone. Ma stiamo esaurendo anche qualcos’altro di cui non si parla mai: le azioni societarie.
Chiunque segua i mercati da vicino sa già bene che l’annuncio di una nuova grande quotazione in borsa è evento ormai molto raro. Pochi, tuttavia, si rendono conto di quanto il mercato azionario tradizionale sia sul viale del tramonto. Stando ai dati di JP Morgan, l’anno scorso il saldo netto delle nuove quotazioni di borsa è stato negativo, per la prima volta nella storia (in breve, vi è stato un calo delle azioni in circolazione). Per quest’anno, si prevede che il trend continui.
Ci sono stati alcuni segni di vita nel mercato delle nuove quotazioni (IPO – Initial Public Offerings), almeno sulla piazza di Londra. Bakkavor, azienda leader nel settore dei pasti preconfezionati, ha in programma di quotarsi e lo stesso vale per MRH, la catena di distribuzione carburanti, con un’operazione che potrebbe valere ben 1,5 miliardi di sterline. I russi sono tornati a farsi vedere, con la compagnia energetica En+ in vista della quotazione a Londra, mentre il gigante Saudi Aramco è in attesa dietro le quinte.
Complessivamente, il numero delle nuove quotazioni quest’anno è in crescita, secondo i report di Dealogic. Con lo svanire dei timori sulla Brexit, e con gli indici azionari al rialzo, un buon numero di ingressi in borsa sta avendo il via libera dalle autorità.
Eppure, a ben vedere, occorre essere notevolmente ottimisti per considerare queste notizie qualcosa di più che una piccola fiammata.
Il trend sul lungo periodo è quello di una diminuzione inarrestabile del numero di azioni in circolazione. JP Morgan ha analizzato le cifre del fenomeno, considerando la parte flottante di tutte le aziende quotate nelle principali borse del mondo come buona approssimazione del totale delle azioni ordinarie.
Un tempo, il totale delle azioni ordinarie sul mercato faceva un bel salto in su tutti gli anni, come ci si può aspettare da un’economia globale in crescita. All’apice della bolla delle dot-com, ogni anno venivano emesse azioni per un valore totale superiore ai 1.400 miliardi di dollari. Prima della crisi del 2008, il valore era di 800 miliardi di dollari. Il saldo ha continuato a rimanere leggermente positivo durante la recessione, ma ora ha iniziato a virare sul negativo. “Lo scorso anno il saldo delle nuove azioni emesse è andato in negativo per la prima volta e quest’anno si è attestato circa a zero”, conclude il report di JP Morgan. In parole povere, alla fine dell’anno ci sono meno azioni che all’inizio dell’anno.
Le cause di questo fenomeno sono moltissime. Le acquisizioni e le fusioni fanno sì che molte aziende escano dal mercato ogni anno. Fra quelle restanti, il riacquisto delle azioni riduce il numero dei titoli in circolazione. La diffusione delle acquisizioni “fuori Borsa” fa sì che ci siano molte alternative per i proprietari delle aziende che vogliono vendere. Contemporaneamente, il massiccio aumento della regolamentazione, con l’accumularsi di norme sulla governance, hanno reso la quotazione in borsa un peso di cui molti manager non vogliono farsi carico. Un tempo, la quotazione in borsa era il sogno nel cassetto di tutti gli imprenditori, nonché un ottimo modo per fare cassa, ma ora non è più così. Aziende come Uber e Airbnb dimostrano ben poco interesse a quotarsi, e la schiera di nuove piccole realtà nel settore tecnologico ne dimostra ancor meno. Risultato? Il totale delle aziende quotate in borsa è in netta contrazione.
Alla borsa di New York, nel momento del massimo splendore, erano quotate 8.000 aziende: ora sono meno di 4.500. Anche il trend della borsa di Londra è simile: un decennio fa c’erano più di 3.000 aziende quotate sul mercato primario e su quello secondario. Ora la cifra si attesta a poco più di 2.000. A un certo punto, i mercati emergenti hanno riempito il vuoto. Ma, come spiegano le cifre di JP Morgan, ora non è più così. Il mercato azionario tradizionale ora è ovunque in totale declino.
Questa situazione avrà tre conseguenze importanti, sia per i mercati sia per gli investitori. In primo luogo, l’intera infrastruttura di intermediazione finanziaria inizierà a scomparire. La City, con i broker, gli analisti e i gestori dei fondi, è stata costruita intorno al mercato azionario, e lo stesso si può dire per tutte le altre piazze finanziarie più importanti, che perderanno rilevanza, in parallelo alle transazioni finanziarie che avvengono al loro interno.
Certo, ci saranno altre attività in crescita. Le aziende continueranno ad avere proprietari che continueranno a dover raccogliere capitali. Ma la raccolta sarà organizzata in un modo molto diverso: le piattaforme di crowdfunding, ad esempio, potrebbero guadagnare in importanza.
In secondo luogo, ci sarà meno scelta. Gli investitori sono stati abituati a costruirsi un portafoglio con una gamma di industrie e paesi che più o meno riusciva a intercettare la crescita ovunque essa si concretizzasse. Questo è sempre meno vero. Ad esempio, approfittare della crescita esplosiva della tecnofinanza o dei servizi di streaming musicale può essere difficile. Non c’è molto da comprare. Lo stesso discorso vale per le aziende cinesi. In realtà, il mercato azionario sarà sempre più dominato dalle aziende tradizionali a crescita lenta. Probabilmente produrranno profitti, ma non ci sarà grande entusiasmo e nessun portafoglio rispecchierà più con esattezza l’economia globale.
Infine, le poche azioni rimaste avranno sempre più valore. Già nei prossimi anni i mercati potranno sembrare cari stando ai classici sistemi di misurazione. Molti di essi già lo sono, ed è questo il motivo per cui alcune persone temono un crollo. Ma le azioni diventeranno sempre più simili ai quadri d’autore o agli appartamenti di Chelsea: il loro valore sarà dato, oltre che dai profitti che potranno generare, anche dalla loro scarsità.
Il mercato azionario permetteva alle aziende di raccogliere capitali e, cosa altrettanto importante, permetteva alle persone comuni, mediante i risparmi e i fondi pensione, di partecipare alla ricchezza creata dal sistema. Ciò nonostante, il suo declino sembra essere inarrestabile. Forse ci potrà essere un’inversione di tendenza, ma non c’è da scommetterci. E questo cambierà il modo di investire per tutti noi.
© Telegraph Media Group Limited (2017)
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