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Le televisioni europee schiacciate dal rullo compressore di Netflix

Morgan Stanley intravede un triste futuro per le televisioni europee di fronte al consolidarsi dei servizi di video online.

Netflix sta letteralmente inghiottendo la televisione tradizionale. Il gigante dell’intrattenimento online non è il solo. Altri “orchi” globalizzati, come Amazon, YouTube e tra poco anche Apple, lasciano intendere di essere molto voraci. Di conseguenza, secondo il parere della banca d’affari Morgan Stanley, i canali televisivi europei dovranno prepararsi a non farsi illusioni per il prossimo futuro.

La pubblicazione di un report poco ottimistico sul futuro del settore ha già suscitato inquietudine e scosso i titoli in Borsa di diversi gruppi del settore audiovisivo. Alla fine della settimana scorsa, il prezzo delle azioni del canale francese M6 cedeva il 3,5%, scendendo a 17,13 euro. Stesso copione in Germania e in Italia, dove - rispettivamente - ProSiebenSat1 è diminuita del 6,34%, raggiungendo i 21,73 euro, e Mediaset ha perso il 5,32%, scendendo a quota 2,74 euro. Lunedì, la francese TF1 perdeva a sua volta il 3%, passando a 8,76 euro.

Nella sua analisi, lunga una cinquantina di pagine, la banca d’affari americana prevede un indebolimento degli operatori locali entro i prossimi cinque anni. I servizi di video on demand hanno scosso il mercato americano e, secondo gli esperti di Morgan Stanley, questa onda lunga investirà verosimilmente anche il Vecchio Continente: “Si tratta di un cambiamento strutturale e non ciclico. Negli Stati Uniti, l’uso crescente delle piattaforme Svod (Subscription Video On Demand – ndt) ha implicato un calo della durata di ascolto della televisione lineare, cosa che a sua volta ha inciso sul totale degli investimenti pubblicitari”. Oltre Atlantico, il punto di svolta è stato raggiunto quando Netflix è stato adottato dal 20% delle famiglie. In seguito, tra il 2012 e il 2017, il tasso di penetrazione è passato dal 20% al 40%, con un incremento di ben 20 punti percentuali, che – secondo i calcoli degli analisti - si è tradotto, nello stesso periodo, in una flessione del 3% delle entrate pubblicitarie affluenti alla televisione tradizionale.

Punto di svolta: 20%

Tutto questo non può non destare preoccupazione tra gli attori europei, che stanno già subendo l’impatto della migrazione di una parte dei loro proventi pubblicitari verso il digitale. La diagnosi è piuttosto allarmistica: Morgan Stanley assicura che se gli abbonamenti mantengono questo ritmo di crescita, entro cinque anni il tasso di penetrazione di Netflix sarà superiore al 20% nella maggior parte dei territori europei. Nel Regno Unito e in Svezia, dove è già al 28%, è probabile che nel 2023 raggiunga il 48%; in Germania dovrebbe raggiungere invece il 32%, mentre in Francia si rischia di passare dall’attuale 9% al 23%. 

In pratica, anche se con tempi più lunghi, neanche la Francia si salverà dal rullo compressore di Netflix. Nel 2014, quando fu lanciato, il servizio Svod di Netflix sembrava non ottenere risultati entusiasmanti. Ma da allora è diventato più forte, Grazie ai massicci investimenti in contenuti originali - 7 miliardi di dollari l’ano scorso e 8 miliardi stimati per quest’anno – il catalogo video si è ampliato e sta guadagnando in qualità.

Oggi, non appena una famiglia inglese, tedesca o svedese sottoscrive per la prima volta un abbonamento a Netflix, il tempo che i suoi componenti passano a guardare i programmi della televisione tradizionale subisce improvvisamente una flessione del 16%-30% rispetto alla totalità delle famiglie presenti nello stesso territorio. Questa erosione è di gran lunga più significativa se paragonata a quanto avviene negli Stati Uniti, dove lo stesso valore raggiunge solo il 10%. Brutto segno per i canali televisivi tradizionali. Se in Europa la pubblicità rappresenta tra il 50% e più del 90% delle entrate delle televisioni lineari, Morgan Stanley è convinta che in futuro tali entrate avranno un tasso di crescita pari a zero. I canali francesi TF1 e M6, che dipendono rispettivamente per il 70% e per il 60% dalla pubblicità, sarebbero i primi ad essere colpiti. Le azioni di TF1 potrebbero subire un calo del 21%, se non addirittura del 44% nel peggiore dei casi. Sempre sulla base di questa ipotesi, le azioni di M6 subirebbero una flessione tra il 21% e il 35%.

Non sarà affatto semplice per questi gruppi resistere. Morgan Stanley dà comunque alcuni suggerimenti. Gli attori tradizionali potrebbero a loro volta “sconvolgere coloro dai quali sono stati sconvolti”, lanciando le proprie piattaforme video, sulla falsariga di quanto l’alleanza tra TF1, M6 e France Télévisions intende fare con la creazione del servizio video on demand “Salto”. 

L’esempio di CanalPlay, unico attore francese presente sul mercato Svod al momento in cui Netflix fece la sua comparsa, prova quanto sia difficile ottenere risultati: la piattaforma di Canal+ è passata da 800.000 a 200.000 abbonati nel giro di due anni. Secondo quanto dichiarato la settimana scorsa da Maxime Saada, presidente del CdA di Canal+, di fronte al Senato: “Siamo stati cancellati dai menu, CanalPlay non esiste più”. Un’altra opzione potrebbe essere quella di diversificare la produzione, così come ha fatto TF1 che ha rilevato Newen [1] per potersi garantire un adeguato approvvigionamento in termini di contenuti e di talenti. Anche una accelerazione della pubblicità mirata rientra nelle strategie contemplabili. Ma per poter coadiuvare questo tipo di trasformazione, bisognerebbe prima che in Francia si allentassero gli eccessivi vincoli normativi. I dirigenti dei diversi canali fanno regolarmente presente che senza diffusori privati, e in buona salute, l’intera filiera della creazione potrebbe ritrovarsi in condizioni di fragilità.

 

[1] Newen, fondata da Fabrice Larue, è la seconda società di produzione televisiva in Francia. TF1 ne ha acquisito il 70% nel 2015 – ndt.

© Caroline Sallé, 2018, Le Figaro