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Nuova “caccia” alla plastica

È stato un bilancio positivo quello di Plastic radar, la nuova campagna di Greenpeace contro l’inquinamento da plastica lungo le spiagge.

Quest’estate, oltre tremila persone amanti del mare hanno contribuito a denunciare i rifiuti abbandonati a riva, che poi sono stati raccolti e smaltiti. I partecipanti hanno aiutato Greenpeace non solo a ripulire le spiagge, ma anche a tracciare un quadro abbastanza affidabile sugli oggetti inquinanti rinvenuti. Sono state oltre 6800 le segnalazioni, la maggior parte arrivate dall’Adriatico. Greenpeace ha attivato un numero Whatsapp al quale chiunque poteva mandare un messaggio corredato con la foto dei rifiuti trovati e uno screenshot sulla posizione rilevata da Google Maps (o qualsiasi altro servizio di geolocalizzazione).

Dalle rilevazioni è emerso che ad avvelenare il nostro mare sono soprattutto prodotti o involucri “usa e getta”, che hanno rappresentato il 90% delle segnalazioni inviate: dalle classiche bottigliette in plastica, che rappresentano più di un quarto degli oggetti ritrovati, fino alle confezioni alimentari e alle buste da supermercato. Si tratta di materiali deleteri per le condizioni del mare, perché non biodegradabili. Una singola bottiglietta utilizzata per bere pochi sorsi può rimanere nell’oceano anche 450 anni. Cotton-fioc (mortali per i pesci), vaschette e bicchieri possono impiegare fino a cinquanta anni prima di decomporsi, mentre i contenitori di polistirolo possono restare integri anche per mille anni.

Le grandi aziende non possono ignorare le difficoltà insite nel riciclare gli oggetti che producono”, si legge nella relazione di Greenpeace, “eppure continuano a smerciarli, spesso senza fornire nessuna scelta alternativa”. Assobibe, l’associazione italiana dei produttori di bevande analcoliche, ha preso l’impegno di usare, entro il 2025, solo confezioni in materiale riciclabile. Si spera che altre associazioni industriali seguano l’esempio, soprattutto quelle che operano nel settore del packaging alimentare.

Intanto, il progetto - che forse sarà replicato anche la prossima estate - promuove campagne di sensibilizzazione contro i rifiuti in plastica. La casa di produzione audiovisiva Surace, insieme a Greenpeace, ha prodotto un video che racconta in pochi minuti quanto la vita sia migliore senza l’uso della plastica.

Sempre Greenpeace ha lanciato una petizione in cui si chiede ai grandi marchi alimentari di ridurre drasticamente l’utilizzo di contenitori e imballaggi.

In parallelo, va ricordato che tra gli inquinanti troppo spesso sottovalutati vi sono anche gli oli esausti. Da molti anni il CONOU, Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali, opera per favorire e organizzare la raccolta e il riciclo degli oli lubrificanti. L’olio usato - che si recupera dai macchinari industriali, dalle automobili, dalle barche e dai mezzi agricoli - è un rifiuto che deve essere smaltito correttamente: quattro chili di olio usato, pari al ricambio di un'automobile, se versati in mare inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche. Oltretutto, riciclare l’olio usato è molto vantaggioso, perché può essere rigenerato tornando a nuova vita, secondo il principio dell’economia circolare: mediamente, il 98% dell’olio raccolto in Italia è idoneo alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti.

In definitiva, le iniziative per contrastare l’inquinamento non mancano, ma il primo rimedio resta sempre l’attenzione da parte di ognuno di noi. Dobbiamo dedicare un minimo di sforzo nel riciclare quanto più possibile dei nostri rifiuti. Abbandonare la plastica, il polistirolo, gli olii o le batterie è un gesto grave che danneggia la salute di tutti, anche di chi lo compie.

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