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Ricerca: l’Italia deve riconoscere il merito

Nuovo piano strategico per la ricerca italiana.

Mentre in America il senatore Bernie Sanders lancia il “job guarantee”, un piano d’investimento pubblico per azzerare la disoccupazione attraverso la creazione di posti di lavoro, in Italia il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha attivato un piano per stabilizzare la posizione di 1200 precari.

Il nuovo piano sarà implementato con una serie di concorsi basati su criteri meritocratici. Sono più di 330 le sedi secondarie e le basi di ricerca del Cnr in Italia e nel mondo, tra cui quelle in Artide, Antartide ed Everest. L’attività del Cnr, che conta circa 8500 dipendenti ad ha un bilancio di circa 900 milioni di euro, spazia dal cambiamento climatico alle risorse naturali, dalle energie rinnovabili alla biomedicina, dalla nano-elettronica al recupero del patrimonio artistico. Il Cnr è il principale creatore di brevetti in Italia.

La decisione è stata condivisa dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca”, ha sottolineato Massimo Inguscio, presidente del CNR, “e riguarda la stabilizzazione, entro dicembre di quest’anno, di 1200 ricercatori, tecnici e amministrativi. Il progetto prevede anche la nascita di un nuovo Istituto per le scienze polari e un nuovo settore di studio collegato ai cambiamenti climatici, che verrà affrontato in sinergia con altre istituzioni”.

Una sfida importante per il più grande ente di ricerca italiano, il quale, per reclutare nuove risorse, ha ridotto le spese immobiliari, diminuito il numero dei dirigenti, rivisto le retribuzioni, eliminato le spese inutili. “Tutti interventi - ha continuato Inguscio - finalizzati soprattutto a valorizzare il capitale umano”. Un capitale prezioso, dato che riguarda quello della ricerca, settore in Italia in perenne mancanza di finanziamenti.

Purtroppo, il quadro complessivo della ricerca in Italia non è roseo. Secondo l'ultima Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia, pubblicata a giugno scorso dal Cnr, con dati relativi al 2017 (e anni precedenti), l'incidenza della spesa in R&S sul PIL non supera l'1,3%, laddove il Giappone viaggia al 3,3%, la Germania al 2,8%, gli Stati Uniti al 2,7% e la media UE si colloca al 2%. L'unico paese dietro l'Italia è la Spagna, con l'1,2%. In valori assoluti, il Giappone investe 154 miliardi di dollari nel 2015, la Germania 100 miliardi e l'Italia solo 26,8. Considerando il sottoinsieme della ricerca di base, che è quella foriera di maggiori benefici nel lungo periodo, la spesa italiana è pari allo 0,35% del PIL, contro lo 0,55% della Francia o lo 0,48% di Stati Uniti e Giappone. In Italia il numero dei ricercatori per mille occupati è di 5 persone, contro i 10 esistenti in Giappone e Francia e i 9 di Germania, Stati Uniti e Regno Unito. D'altronde, in Italia nella fascia di età 25-64, i laureati sono solo il 15%, contro una media UE del 27%. 

Il risultato pratico è che l'Italia presenta all'Ufficio Europeo di Brevetti solo 6,8 domande ogni 100mila abitanti, contro le 88 della Svizzera, le 40 dell'Olanda, le 36 della Svezia, le 31 della Germania e le 15-16 di Francia e Giappone. Gli Stati Uniti sono a quota 12,4, mentre il Regno Unito, con 7,9, supera di poco l'Italia.

Nonostante questi dati poco incoraggianti, il numero di pubblicazioni scientifiche italiane mostra un trend crescente da molti anni. Le pubblicazioni italiane incidono per circa il 4% sul totale mondiale, un livello che è ormai molto vicino a quello della Francia e del Giappone (in questo settore, gli Stati Uniti stanno arretrano in modo abbastanza netto, mentre la Cina è in fase di fortissima crescita). Ancor più positivi i dati sulle citazioni di pubblicazioni italiane, con una media di 1,35 citazioni per ogni lavoro, alla pari della Germania e poco sopra gli Stati Uniti. Riassumendo, i ricercatori italiani sono pochi, hanno poche risorse ma si fanno molto apprezzare all'estero, almeno per la qualità di ciò che scrivono.

L'annunciato impegno di rilancio del Cnr potrà dunque dare uno spiraglio a quegli scienziati italiani spesso costretti, per mancanza di fondi, a migrare all’estero. Forse si riuscirà a ridurre un po' la fuoriuscita dei cervelli migliori, uno dei più seri sintomi della crisi economica italiana.

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