Sul lettino del dottor Woebot
Si chiama Woebot, è uno psicologo virtuale, ed è stato ideato dalla dottoressa Alison Darcy, psicologa presso la Scuola di Medicina dell’università di Stanford nonché fondatrice dell’omonima start-up.
Con i suoi occhi blu virtuali e un grande cuore disegnato sul petto, Woebot comunica (in inglese) via internet, senza necessità di divani o di medicine. Il fatto di poter chattare con lui in qualsiasi momento rappresenta un gran vantaggio, perché le sedute con gli analisti in carne ed ossa, oltre ad essere fissate su appuntamento e difficilmente spostabili, sono anche piuttosto care.
Con Woebot è tutto diverso. È sufficiente iscriversi al sito web per cominciare a stretto giro sessioni di interazione/ascolto che di solito durano dieci minuti o poco più. Una formula che piace molto agli adolescenti, più flessibili e aperti degli adulti a questo genere di innovazioni.
L’assistenza, che avviene tramite Messenger, punta a suggerire soluzioni rapide per risolvere malesseri psicologici non gravi. È sufficiente descrivere il proprio stato d’animo per avere, sul proprio monitor, consigli, soluzioni, o anche filmati video. Nel corso delle discussioni, infatti, non mancano nozioni di psicologia, per riflettere sulle diverse situazioni che possono capitare nella vita quotidiana e magari liberarsi delle proprie emozioni negative.
Un altro vantaggio è la possibilità di restare anonimi, interagendo direttamente da casa, e il non dover affrontare nessuna spesa per le prime due settimane di prova. Se poi il cliente vuole proseguire, il costo di Woebot di soli 39 dollari al mese, molto meno di un qualsiasi psichiatra.
Naturalmente la domanda è: funziona?
Il Journal of Medical Research ha pubblicato i risultati di uno studio su un campione di settanta ragazzi che si dichiaravano in stato di depressione o ansia. I ragazzi sono stati divisi in due gruppi. I componenti del primo hanno “conversato” in casa propria con Woebot per 20 sessioni o più nel corso di due settimane, mentre ai membri dell’altro gruppo è stato fatto leggere un e-book intitolato «Depressione e Studenti dei College». Tre test di controllo sulle condizioni psichiche dei ragazzi sono stati eseguiti prima e dopo l’esperimento. Secondo quanto riporta lo studio, i risultati hanno confermato che “al termine delle due settimane i membri del ‘gruppo Woebot’ presentavano una significativa riduzione dello stato depressivo”.
Eppure, sebbene l’inventrice di Woebot abbia puntualizzato che il robot è indirizzato a risolvere solo disturbi dell’umore, non certo patologie gravi, l’idea di rottamare il lettino dell’analista per sostituirlo con lo smartphone, non piace a tutti. Per molti operatori del settore, infatti, lo psicologo online sarebbe uno specchio inquietante dei nostri tempi: il disagio interiore non può diventare un business curabile con una semplice app… Ma è evidente che un servizio online di questo tipo rappresenta una potenziale minaccia economica per l’intera categoria degli psichiatri e degli psicologi, quindi la contrarietà appare perfettamente comprensibile.
In verità, Woebot non è l’unica applicazione di questo tipo esistente al mondo. Ve ne sono diverse altre. Tra queste, “Karim”, pensata per dare sostegno e consigli ai figli dei rifugiati siriani, “Emma”, che aiuta i madrelingua olandesi residenti negli Stati Uniti affette da lievi forme di ansia, o “MindBloom”, che permette agli utenti di darsi l’un l’altro supporto e motivazione. Tuttavia, nessuna delle app in questione è stata progettata per sostituirsi alla terapia tradizionale. Per ragioni giuridiche, i progettisti di questi software non possono dichiarare che gli assistenti virtuali “curino” davvero gli utenti, poiché – almeno negli Stati Uniti – ciò li farebbe rientrare nella categoria degli strumenti terapeutici professionali, soggetti alle rigide norme in campo medico.
Ad ogni modo, Woebot non perde tempo e procede spedito: finora ha inviato più di due milioni di messaggi a un mix di utenti in numero pari tra uomini e donne, sparsi in tutto il mondo. Non a caso, la piccola azienda californiana sta reclutando giovani collaboratori per far fronte all’inatteso successo.
© 2018, Thema International
Sul lettino del dottor Woebot
Si chiama Woebot, è uno psicologo virtuale, ed è stato ideato dalla dottoressa Alison Darcy, psicologa presso la Scuola di Medicina dell’università di Stanford nonché fondatrice dell’omonima start-up.
Con i suoi occhi blu virtuali e un grande cuore disegnato sul petto, Woebot comunica (in inglese) via internet, senza necessità di divani o di medicine. Il fatto di poter chattare con lui in qualsiasi momento rappresenta un gran vantaggio, perché le sedute con gli analisti in carne ed ossa, oltre ad essere fissate su appuntamento e difficilmente spostabili, sono anche piuttosto care.
Con Woebot è tutto diverso. È sufficiente iscriversi al sito web per cominciare a stretto giro sessioni di interazione/ascolto che di solito durano dieci minuti o poco più. Una formula che piace molto agli adolescenti, più flessibili e aperti degli adulti a questo genere di innovazioni.
L’assistenza, che avviene tramite Messenger, punta a suggerire soluzioni rapide per risolvere malesseri psicologici non gravi. È sufficiente descrivere il proprio stato d’animo per avere, sul proprio monitor, consigli, soluzioni, o anche filmati video. Nel corso delle discussioni, infatti, non mancano nozioni di psicologia, per riflettere sulle diverse situazioni che possono capitare nella vita quotidiana e magari liberarsi delle proprie emozioni negative.
Un altro vantaggio è la possibilità di restare anonimi, interagendo direttamente da casa, e il non dover affrontare nessuna spesa per le prime due settimane di prova. Se poi il cliente vuole proseguire, il costo di Woebot di soli 39 dollari al mese, molto meno di un qualsiasi psichiatra.
Naturalmente la domanda è: funziona?
Il Journal of Medical Research ha pubblicato i risultati di uno studio su un campione di settanta ragazzi che si dichiaravano in stato di depressione o ansia. I ragazzi sono stati divisi in due gruppi. I componenti del primo hanno “conversato” in casa propria con Woebot per 20 sessioni o più nel corso di due settimane, mentre ai membri dell’altro gruppo è stato fatto leggere un e-book intitolato «Depressione e Studenti dei College». Tre test di controllo sulle condizioni psichiche dei ragazzi sono stati eseguiti prima e dopo l’esperimento. Secondo quanto riporta lo studio, i risultati hanno confermato che “al termine delle due settimane i membri del ‘gruppo Woebot’ presentavano una significativa riduzione dello stato depressivo”.
Eppure, sebbene l’inventrice di Woebot abbia puntualizzato che il robot è indirizzato a risolvere solo disturbi dell’umore, non certo patologie gravi, l’idea di rottamare il lettino dell’analista per sostituirlo con lo smartphone, non piace a tutti. Per molti operatori del settore, infatti, lo psicologo online sarebbe uno specchio inquietante dei nostri tempi: il disagio interiore non può diventare un business curabile con una semplice app… Ma è evidente che un servizio online di questo tipo rappresenta una potenziale minaccia economica per l’intera categoria degli psichiatri e degli psicologi, quindi la contrarietà appare perfettamente comprensibile.
In verità, Woebot non è l’unica applicazione di questo tipo esistente al mondo. Ve ne sono diverse altre. Tra queste, “Karim”, pensata per dare sostegno e consigli ai figli dei rifugiati siriani, “Emma”, che aiuta i madrelingua olandesi residenti negli Stati Uniti affette da lievi forme di ansia, o “MindBloom”, che permette agli utenti di darsi l’un l’altro supporto e motivazione. Tuttavia, nessuna delle app in questione è stata progettata per sostituirsi alla terapia tradizionale. Per ragioni giuridiche, i progettisti di questi software non possono dichiarare che gli assistenti virtuali “curino” davvero gli utenti, poiché – almeno negli Stati Uniti – ciò li farebbe rientrare nella categoria degli strumenti terapeutici professionali, soggetti alle rigide norme in campo medico.
Ad ogni modo, Woebot non perde tempo e procede spedito: finora ha inviato più di due milioni di messaggi a un mix di utenti in numero pari tra uomini e donne, sparsi in tutto il mondo. Non a caso, la piccola azienda californiana sta reclutando giovani collaboratori per far fronte all’inatteso successo.
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