Un bersaglio di nome Donald Trump
Quando l’ex direttore dell’FBI, licenziato dal presidente degli Stati Uniti, gioca a fare il signor Perfettino, il risultato è un libro noioso e di parte. Che però rivela le vere dinamiche in atto alla Casa Bianca.
Gli americani sono formidabili. Riescono a farci credere che tutto quello che riguarda loro, riguarda anche noi. Il loro stile di vita è anche il nostro, i loro eccessi sono i nostri, il loro cibo è il nostro cibo, le loro dispute ideologiche e politiche sono le nostre, le loro problematiche morali sono le nostre. Per questo, esigono che partecipiamo sollecitamente a tutto ciò che li riguarda, e che dunque riguarderebbe anche noi. Siamo diventati dei perfetti “gallo-ricani”, come dice Régis Debray [1]. Quando James Comey, direttore dell’FBI, ci racconta qual è stata la sua vita a partire dal momento in cui Donald Trump lo ha licenziato alla stregua di un qualsiasi clandestino messicano, dovremmo prendere a cuore il destino di quest’uomo, così vergognosamente distrutto. Invece, la sua storia personale ci sembra piuttosto ridicola. Così ci appare la sua giovinezza, quando era un cattivo studente ma un buon giocatore di basket, o la sua signora, che non si vede mai ma che ha sempre ragione, come la moglie del tenente Colombo. Grotteschi appaiono i suoi esordi da avvocato e la sua scoperta delle consuetudini mafiose, così come ci sembrano un po’ comici il suo tono e le sue prediche da moralista quando parla di “diversità” e di “ascolto”, che lo fanno sembrare uno dei nostri cattolici di sinistra. In breve, James Comey è noioso, senza tregua, per cento pagine, duecento pagine, e così via…

L'edizione francese dell'autobiografia di Comey. Edizioni Flammarion.
Il nostro uomo è un sincero repubblicano, che ha lavorato al fianco di George Bush. Ma è Barack Obama che l’ha nominato capo dell’FBI. E James Comey si è innamorato di Obama. In tutta onestà e con le migliori intenzioni. Di Obama adora il senso dell’umorismo, la lungimiranza, la raffinatezza, l’intelligenza, il tatto. Ci confessa che sua moglie e le sue figlie hanno votato per Hillary Clinton nel 2016 e che hanno partecipato alla “marcia delle donne” che si è svolta a Washington il giorno della nomina di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Comey somiglia a quei fedelissimi di Jacques Chirac, come ad esempio Jacques Toubon, pronti a rinnegare le loro opinioni politiche iniziali per offrire la propria sottomissione alla Sinistra, in nome dei famosi “valori repubblicani”. Una sottomissione ideologica, politica, ma soprattutto sociale e culturale.
Come narra Comey, il suo impatto con the Donald fu traumatico. La vicenda occupa le ultime cinquanta pagine del libro. Che finalmente ci appassionano. In occasione del loro primo incontro, il direttore dell’FBI spiega al presidente eletto che ai servizi segreti è giunta una voce: Trump sarebbe stato filmato, in un celebre hotel di Mosca, in compagnia di due prostitute russe, alle quali avrebbe chiesto – fra gli altri “lavoretti” – di urinare sul letto che qualche anno prima aveva accolto i coniugi Obama. Scrive Comey: “Certo, si potrebbe pensare che io volessi tirare acqua al mio mulino, alla maniera di J. Edgar Hoover [2], perché è ciò che Hoover avrebbe fatto al mio posto”. Edgar Hoover occupa nella storia della polizia americana il posto che Joseph Fouché [3] occupa nella storia della Francia: un super-poliziotto che non esita a far confessare ai vari presidenti (Kennedy e altri) i loro segreti, pur di difendere la propria carriera e le proprie idee.
Infine, usciti dal torpore, rileggiamo più volte questa frase, domandandoci se la dabbenaggine del nostro uomo sia un’espressione di stupidità o di cinismo. Ci stupisce che Comey si stupisca del fatto che, nell’incontro successivo, Trump gli dica: “Ho bisogno di lealtà. Mi aspetto lealtà”. Ci stupisce anche il suo commento al riguardo: “Il presidente degli Stati Uniti aveva appena chiesto al direttore dell’FBI di essergli fedele. Una richiesta davvero surreale”. Ma secondo noi, è la sua osservazione ad essere surreale. O almeno, per un francese lo è: come immaginare che il capo della polizia non sia fedele al presidente della Repubblica? A colui che è stato eletto dal popolo americano?
Tuttavia, come direttore dell’FBI, James Comey riconosce solo due autorità: la Costituzione e lo Stato di diritto. Sebbene venga nominato dal presidente, ritiene di dover rispondere del suo operato soltanto ai giudici. Si atteggia a uomo virtuoso e scrupoloso. Giura, con la mano sul cuore, di non fare politica. Non capisce – o piuttosto fa finta di non capire – che invece fa politica come M. Jourdain [4] faceva prosa, cioè senza saperlo. “Non riesco a immaginare Obama rendersi responsabile di un tale comportamento, e potrei dire lo stesso di George W. Bush. Ai miei occhi, questa scena somigliava alla cerimonia di investitura di “Sammy il toro” [5] da parte di Cosa Nostra, con Trump nel ruolo del padrino che mi chiedeva se io avessi i requisiti necessari per diventare ‘un vero uomo’ ”.
Nel leggere il libro di Comey si comprende quali siano le dinamiche in atto alla Casa Bianca, con intrighi degni di una tragedia greca. Trump non è stato accolto come il prescelto dal popolo, il moderno sovrano degli Stati Uniti, ma come un intruso, come il brutto anatroccolo che mai sarebbe dovuto diventare presidente. Un intralcio al vero potere americano. Secondo Comey, il compito del presidente non sarebbe mettere in pratica ciò che ha promesso agli elettori, bensì attuare ciò che gli verrà imposto dall’apparato politico-amministrativo: l’FBI, la CIA, i tribunali, ecc. Sebbene sia stato eletto dai cittadini, Trump dovrebbe sottomettersi a quello “Stato nello Stato” che negli USA ormai prende il nome di “Stato profondo”. Un apparato nel quale, guarda caso, si trovano fianco a fianco sinceri fautori della democrazia ma anche personaggi che della democrazia farebbero volentieri a meno. Contro Trump, tutti i mezzi sono buoni. Viene fatta filtrare qualsiasi informazione, vera o falsa che sia, affinché il giorno dopo questa appaia sulla stampa benpensante, cioè sul New York Times, sul Washington Post e simili. In breve, è in atto una vera battaglia postmoderna tra la democrazia e lo Stato. Da una parte il popolo, gli elettori, dall’altra un’oligarchia che governa il sistema giudiziario, il sistema amministrativo, il mondo dei media. Tutto torna utile per combattere Trump, e non vi è dubbio sul fatto che la sua personalità stravagante, i suoi limiti intellettuali, la sua amoralità da parvenu e il suo volgare narcisismo rendano più facile il compito ai suoi nemici. L’attacco contro il presidente viene condotto in nome della morale e dell’etica. The Donald è considerato come un Cagliostro dei tempi moderni: “La presidenza Trump rappresenta una minaccia contro tutto ciò che vi è di sano in questo paese […]. Alcuni alti funzionari pubblici, per senso etico, hanno deciso di conservare i loro importanti incarichi governativi. Al solo scopo di contenere il presidente”, scrive Comey.
Torna in mente Richard Nixon. Anche lui non era mai stato ben accetto dalle élite amministrative, giudiziarie, politiche e mediatiche, e finì per essere costretto alle dimissioni a causa dello “scandalo Watergate”. L’obiettivo oggi è lo stesso: piegare Trump e poi costringerlo alle dimissioni.
Mi domando: e se tutto ciò non dovesse bastare? Vogliamo ipotizzare anche l’assassinio?
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[1] Noto filosofo, scrittore e giornalista francese. Debray è uno dei più importanti studiosi del ruolo dei social media, ed è il fondatore di una nuova teoria multidisciplinare: la mediologia - ndt.
[2] Hoover fu il controverso direttore dell’FBI dal 1935 fino alla sua morte, nel 1972. Esercitò un notevole potere personale, ai limiti della legge, grazie alla sua sistematica raccolta di informazioni riservate sui maggiori politici e industriali americani - ndt.
[3] Funzionario di polizia di oscura fama. Ricoprì la carica di ministro degli Interni dal 1799 al 1802, e dal 1804 al 1810 - ndt.
[4] Protagonista della comédie-ballet di Molière Il borghese gentiluomo. Personaggio di bonaria ingenuità, il quale, da ricco borghese, aspira a diventare nobile, impegnando tutto se stesso per trasformarsi in un vero gentiluomo - ndt.
[5] Salvatore Gravano, detto Sammy the bull. Noto criminale italo-americano, assoldato dalla mafia a metà degli anni ’60. Incarcerato per racket e spaccio di droga, poi inserito nel programma di protezione testimoni come pentito - ndt.
© Éric Zemmour, 2018, Le Figaro
Un bersaglio di nome Donald Trump
Quando l’ex direttore dell’FBI, licenziato dal presidente degli Stati Uniti, gioca a fare il signor Perfettino, il risultato è un libro noioso e di parte. Che però rivela le vere dinamiche in atto alla Casa Bianca.
Gli americani sono formidabili. Riescono a farci credere che tutto quello che riguarda loro, riguarda anche noi. Il loro stile di vita è anche il nostro, i loro eccessi sono i nostri, il loro cibo è il nostro cibo, le loro dispute ideologiche e politiche sono le nostre, le loro problematiche morali sono le nostre. Per questo, esigono che partecipiamo sollecitamente a tutto ciò che li riguarda, e che dunque riguarderebbe anche noi. Siamo diventati dei perfetti “gallo-ricani”, come dice Régis Debray [1]. Quando James Comey, direttore dell’FBI, ci racconta qual è stata la sua vita a partire dal momento in cui Donald Trump lo ha licenziato alla stregua di un qualsiasi clandestino messicano, dovremmo prendere a cuore il destino di quest’uomo, così vergognosamente distrutto. Invece, la sua storia personale ci sembra piuttosto ridicola. Così ci appare la sua giovinezza, quando era un cattivo studente ma un buon giocatore di basket, o la sua signora, che non si vede mai ma che ha sempre ragione, come la moglie del tenente Colombo. Grotteschi appaiono i suoi esordi da avvocato e la sua scoperta delle consuetudini mafiose, così come ci sembrano un po’ comici il suo tono e le sue prediche da moralista quando parla di “diversità” e di “ascolto”, che lo fanno sembrare uno dei nostri cattolici di sinistra. In breve, James Comey è noioso, senza tregua, per cento pagine, duecento pagine, e così via…
L'edizione francese dell'autobiografia di Comey. Edizioni Flammarion.
Il nostro uomo è un sincero repubblicano, che ha lavorato al fianco di George Bush. Ma è Barack Obama che l’ha nominato capo dell’FBI. E James Comey si è innamorato di Obama. In tutta onestà e con le migliori intenzioni. Di Obama adora il senso dell’umorismo, la lungimiranza, la raffinatezza, l’intelligenza, il tatto. Ci confessa che sua moglie e le sue figlie hanno votato per Hillary Clinton nel 2016 e che hanno partecipato alla “marcia delle donne” che si è svolta a Washington il giorno della nomina di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Comey somiglia a quei fedelissimi di Jacques Chirac, come ad esempio Jacques Toubon, pronti a rinnegare le loro opinioni politiche iniziali per offrire la propria sottomissione alla Sinistra, in nome dei famosi “valori repubblicani”. Una sottomissione ideologica, politica, ma soprattutto sociale e culturale.
Come narra Comey, il suo impatto con the Donald fu traumatico. La vicenda occupa le ultime cinquanta pagine del libro. Che finalmente ci appassionano. In occasione del loro primo incontro, il direttore dell’FBI spiega al presidente eletto che ai servizi segreti è giunta una voce: Trump sarebbe stato filmato, in un celebre hotel di Mosca, in compagnia di due prostitute russe, alle quali avrebbe chiesto – fra gli altri “lavoretti” – di urinare sul letto che qualche anno prima aveva accolto i coniugi Obama. Scrive Comey: “Certo, si potrebbe pensare che io volessi tirare acqua al mio mulino, alla maniera di J. Edgar Hoover [2], perché è ciò che Hoover avrebbe fatto al mio posto”. Edgar Hoover occupa nella storia della polizia americana il posto che Joseph Fouché [3] occupa nella storia della Francia: un super-poliziotto che non esita a far confessare ai vari presidenti (Kennedy e altri) i loro segreti, pur di difendere la propria carriera e le proprie idee.
Infine, usciti dal torpore, rileggiamo più volte questa frase, domandandoci se la dabbenaggine del nostro uomo sia un’espressione di stupidità o di cinismo. Ci stupisce che Comey si stupisca del fatto che, nell’incontro successivo, Trump gli dica: “Ho bisogno di lealtà. Mi aspetto lealtà”. Ci stupisce anche il suo commento al riguardo: “Il presidente degli Stati Uniti aveva appena chiesto al direttore dell’FBI di essergli fedele. Una richiesta davvero surreale”. Ma secondo noi, è la sua osservazione ad essere surreale. O almeno, per un francese lo è: come immaginare che il capo della polizia non sia fedele al presidente della Repubblica? A colui che è stato eletto dal popolo americano?
Tuttavia, come direttore dell’FBI, James Comey riconosce solo due autorità: la Costituzione e lo Stato di diritto. Sebbene venga nominato dal presidente, ritiene di dover rispondere del suo operato soltanto ai giudici. Si atteggia a uomo virtuoso e scrupoloso. Giura, con la mano sul cuore, di non fare politica. Non capisce – o piuttosto fa finta di non capire – che invece fa politica come M. Jourdain [4] faceva prosa, cioè senza saperlo. “Non riesco a immaginare Obama rendersi responsabile di un tale comportamento, e potrei dire lo stesso di George W. Bush. Ai miei occhi, questa scena somigliava alla cerimonia di investitura di “Sammy il toro” [5] da parte di Cosa Nostra, con Trump nel ruolo del padrino che mi chiedeva se io avessi i requisiti necessari per diventare ‘un vero uomo’ ”.
Nel leggere il libro di Comey si comprende quali siano le dinamiche in atto alla Casa Bianca, con intrighi degni di una tragedia greca. Trump non è stato accolto come il prescelto dal popolo, il moderno sovrano degli Stati Uniti, ma come un intruso, come il brutto anatroccolo che mai sarebbe dovuto diventare presidente. Un intralcio al vero potere americano. Secondo Comey, il compito del presidente non sarebbe mettere in pratica ciò che ha promesso agli elettori, bensì attuare ciò che gli verrà imposto dall’apparato politico-amministrativo: l’FBI, la CIA, i tribunali, ecc. Sebbene sia stato eletto dai cittadini, Trump dovrebbe sottomettersi a quello “Stato nello Stato” che negli USA ormai prende il nome di “Stato profondo”. Un apparato nel quale, guarda caso, si trovano fianco a fianco sinceri fautori della democrazia ma anche personaggi che della democrazia farebbero volentieri a meno. Contro Trump, tutti i mezzi sono buoni. Viene fatta filtrare qualsiasi informazione, vera o falsa che sia, affinché il giorno dopo questa appaia sulla stampa benpensante, cioè sul New York Times, sul Washington Post e simili. In breve, è in atto una vera battaglia postmoderna tra la democrazia e lo Stato. Da una parte il popolo, gli elettori, dall’altra un’oligarchia che governa il sistema giudiziario, il sistema amministrativo, il mondo dei media. Tutto torna utile per combattere Trump, e non vi è dubbio sul fatto che la sua personalità stravagante, i suoi limiti intellettuali, la sua amoralità da parvenu e il suo volgare narcisismo rendano più facile il compito ai suoi nemici. L’attacco contro il presidente viene condotto in nome della morale e dell’etica. The Donald è considerato come un Cagliostro dei tempi moderni: “La presidenza Trump rappresenta una minaccia contro tutto ciò che vi è di sano in questo paese […]. Alcuni alti funzionari pubblici, per senso etico, hanno deciso di conservare i loro importanti incarichi governativi. Al solo scopo di contenere il presidente”, scrive Comey.
Torna in mente Richard Nixon. Anche lui non era mai stato ben accetto dalle élite amministrative, giudiziarie, politiche e mediatiche, e finì per essere costretto alle dimissioni a causa dello “scandalo Watergate”. L’obiettivo oggi è lo stesso: piegare Trump e poi costringerlo alle dimissioni.
Mi domando: e se tutto ciò non dovesse bastare? Vogliamo ipotizzare anche l’assassinio?
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[1] Noto filosofo, scrittore e giornalista francese. Debray è uno dei più importanti studiosi del ruolo dei social media, ed è il fondatore di una nuova teoria multidisciplinare: la mediologia - ndt.
[2] Hoover fu il controverso direttore dell’FBI dal 1935 fino alla sua morte, nel 1972. Esercitò un notevole potere personale, ai limiti della legge, grazie alla sua sistematica raccolta di informazioni riservate sui maggiori politici e industriali americani - ndt.
[3] Funzionario di polizia di oscura fama. Ricoprì la carica di ministro degli Interni dal 1799 al 1802, e dal 1804 al 1810 - ndt.
[4] Protagonista della comédie-ballet di Molière Il borghese gentiluomo. Personaggio di bonaria ingenuità, il quale, da ricco borghese, aspira a diventare nobile, impegnando tutto se stesso per trasformarsi in un vero gentiluomo - ndt.
[5] Salvatore Gravano, detto Sammy the bull. Noto criminale italo-americano, assoldato dalla mafia a metà degli anni ’60. Incarcerato per racket e spaccio di droga, poi inserito nel programma di protezione testimoni come pentito - ndt.
© Éric Zemmour, 2018, Le Figaro
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