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Un’Europa a diverse velocità: la soluzione più efficace contro la crisi

Viriginie Calmels, importante donna politica e imprenditrice con valido curriculum, propone tre cose che sottoscriviamo in pieno: un'Europa a diverse velocità, una grande semplificazione normativa e, non ultimo, una aliquota fiscale unica per tutte le imprese europee, pari al 20% (uguale a quella fissata da Trump negli Stati Uniti).

nota della redazione

La vicepresidente dei Républicains si dichiara “profondamente filoeuropea”, ma si oppone al progetto di un’Europa federale.

Cinquant’anni fa, il generale de Gaulle e il cancelliere Konrad Adenauer siglavano il Trattato dell’Eliseo, un atto destinato a suggellare la riconciliazione franco-tedesca e il rafforzamento dei rapporti di cooperazione fra le due nazioni, non più nemiche. Ma soprattutto, sei anni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Roma, quel testo affermava il principio di una sovranità rispettosa degli Stati-nazione e istituiva l’asse franco-tedesco come motore delle politiche europee comuni, all’interno di un insieme di stati sovrani dal passato comune. Francesi e tedeschi collaboravano per costruire un progetto condiviso in materia di integrazione economica, ma anche di sicurezza e di difesa.

Oltre mezzo secolo dopo, non possiamo non constatare che il progetto iniziato da de Gaulle e Adenauer è rimasto incompiuto. Il sogno di una politica estera e di un piano di sicurezza comuni è andato in pezzi, deflagrato insieme alla minaccia terroristica e al ritorno degli egoismi nazionali. La crisi migratoria ha fatto emergere le profonde fratture che esistevano fra paesi vicini, finora occultate dall’euforia per il rapido susseguirsi di adesioni di nuovi paesi membri.

Infine, come giudicare la procedura che regola le decisioni comunitarie? È tanto lunga e complessa da sembrare, oggi più che mai, totalmente inadeguata al periodo in cui viviamo.

Emmanuel Macron vuole costruire l’Europa. Ma, nel farlo, dimentica i popoli europei, e soprattutto il popolo francese. Egli sogna un’Europa di Schengen sempre più estesa – fino ai Balcani –, e sempre più federalista. Io sono profondamente filoeuropea e liberale, ma rifiuto nel modo più categorico l’idea di un’Europa federale. Questo progetto non farebbe che rafforzare la diffidenza dei popoli nei confronti dell’Europa e delle nostre élite, e nuocerebbe ai nostri interessi così come alla nostra libertà. Siamo in molti a pensare che si tratti di un vicolo cieco, sia per l’Europa che per la Francia. Infatti, i popoli europei hanno già espresso il loro pensiero su tale progetto; l’ultima volta attraverso il voto britannico in favore della Brexit. Inoltre, un’Europa così concepita, ovvero estesa e onnipotente, andrebbe a contrastare con la sovranità francese. E io non voglio un’Europa contrapposta agli Stati. Ciò nonostante, noi siamo tutto, tranne che euroscettici.

Io credo nell’Europa, amo l’Europa, e rifiuto l’euroscetticismo velenoso di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Perché nell’era della globalizzazione, in cui la Francia deve appoggiarsi all’Europa per trovare il proprio posto fra Stati Uniti, Cina, Russia e paesi emergenti, l’euroscetticismo è una posizione del tutto anacronistica. Noi Repubblicani, guidati da Laurent Wauquiez, abbiamo il dovere di proporre un’alternativa credibile. La Francia e la Germania devono porsi a capo di una manovra di rilancio dell’Europa. Quest’ambizione potrebbe realizzarsi da una parte con la creazione di un’Unione Europea che valorizzi gli Stati-nazione; dall’altra, attraverso l’adozione di provvedimenti concreti, riguardanti la difesa, l’industria, l’energia e le nuove tecnologie.

Creare un’Europa più forte è possibile, ma solo tenendo conto delle specificità di ciascun paese membro, e rispettandole; non certo annullandole in un unico calderone europeo. Bisogna innanzitutto accettare il fatto che una Unione con ventisette paesi membri non funziona – e non funzionerà mai. Semplicemente perché siamo troppo numerosi, e con interessi troppo divergenti.

Ad oggi, un’Europa “a diverse velocità” è la soluzione più efficace per non farsi travolgere dall’ondata dei populismi e dei nazionalismi. Il successo dei partiti ultraconservatori in Polonia e in Ungheria, la Brexit e il risveglio dei movimenti nazionalisti in Germania e in Austria, devono spingerci a ipotizzare un altro tipo di struttura per l’Europa.

Bisogna ripensare l’architettura dell’Unione, per arrivare a un’Europa formata da tre anelli: innanzitutto, un nocciolo duro di Stati pronti a intraprendere un coraggioso percorso comune; poi la zona Euro; infine, un terzo anello costruito attorno a un’area di libero scambio. Inoltre, è necessario che l’Europa appaia come una soluzione, non come un problema. Io credo molto in un’Europa che renda più facile la vita dei propri cittadini e delle proprie imprese. Il mio DNA è quello degli imprenditori, ed è a loro che penso quando vedo il caos di normative, imposto dall’Europa, che pesa sulle nostre aziende. È necessario che l’Unione Europea semplifichi al più presto le procedure, affinché per un’impresa diventi facile vivere e lavorare al suo interno.

Che dire, per esempio, della politica sulla concorrenza, nell’ambito dell’Unione, che impedisce alle imprese europee più meritevoli di emergere rispetto alle altre? Si devono ridiscutere queste politiche, vedere cosa funziona e cosa potrebbe essere migliorato. Si deve inoltre rilanciare l’armonizzazione fiscale: tutti i recenti tentativi di ravvicinamento delle aliquote, in particolare relative all’imposta sulle imprese, sono falliti a causa della mancanza di coraggio politico da parte francese. La Francia ha il dovere di schierarsi in prima linea nel dibattito su questo problema. Poiché sono soprattutto le nostre imprese a subire svantaggi, in questo sistema nel quale ciascun paese europeo, tranne il nostro, abbassa in modo unilaterale le aliquote d’imposta sulla società, in una pericolosa guerra al ribasso che favorisce solo i grandi gruppi ben noti; ai quali basta aizzare un paese contro l’altro per arrivare a un punto in cui non pagheranno più tasse.

Battiamoci a oltranza per un’armonizzazione fiscale con un tasso d’imposta sulle società del 20%, uguale per tutti. Allo stesso tempo, io sono favorevole a intraprendere una serie di iniziative affinché gli europei investano sugli europei. In tal senso, un Buy European Act – concepito sul modello del Buy American Act statunitense –, che riservasse alcune commesse pubbliche solo a imprese del continente, sarebbe un segnale concreto. “Se vogliamo salvare l’Europa, allora dobbiamo essere realisti!”, questo il grido d’allarme lanciato da Édouard Balladur in una tribuna politica del 2014. Cinquant’anni dopo il trattato dell’Eliseo, e quattro anni dopo quel discorso, sta a noi far sentire sull’Europa la voce della ragione.

© Virginie Calmels, 2018, Le Figaro